Silvano Grattuggia. Il volto sciatto del crimine

Erano già le 11.15 di giovedì 2 ottobre. Dovevo arrivare entro le 12.30 a Fortebasso per portare il mio partatile Compaq alla SOS. Avevo appena il tempo di passare da Piazza dell’Aeronautica per pagare il signor Linceo, dal quale avevo comprato acqua e latte a credito il giorno innanzi. Vedo un posto libero davanti all’edicola che fa angolo sulla piazza, proprio dal lato del negozio di Linceo. Metto la freccia a destra, mi affianco alla macchina parcheggiata davanti alla farmacia, tra l’edicola e il negozio di Linceo, controllo attentamente che nessuno stia arrivando dietro di me e inserisco la retromarcia per parcheggiare. Proprio quando il muso della mia macchina ha appena compiuto a ritroso un ottavo di cerchio, il veicolo è in posizione massimamente inarcata, la mia testa è rivolta all’indietro e i miei occhi, ben vigili, stanno fissi sulla destra lato marciapiede, sento un “bum” fragoroso sulla mia sinistra. Il motore della mia macchina si spegne, e io mi volto tutta spaventata verso il “bum”. L’angolo del parafango non so più se anteriore o posteriore destro di una berlina scura e polverosa (che fosse una Lancia K lo apprenderò diversi giorni dopo; le mie facoltà percettive e critiche erano state messe fuori uso dallo shock) è entrato nel mio sportello anteriore destro. Come diavolo avrà fatto? Io ero visibilissima. Dalla berlina scende un signore ancora giovane, dai capelli vagamente a caschetto, brizzolati e abbastanza arruffati, il quale con atteggiamento ansioso mi dice: – Sono davvero spiacente, non l’ho vista, è colpa mia -. Somiglia alla lontana, in versione provincia profonda, a Richard Gere; è vestito da “colletto bianco” (doppiopetto grigio scuro, camicia bianca, cravatta sobria) piuttosto sgualcito.

Scendo a mia volta, cercando di darmi un contegno per dissimulare lo shock, e gli dico: – Va bene, facciamo una constatazione amichevole di incidente-.

Dietro di noi si è già creata una piccola fila di macchine che aspettano. L’investitore mi dice: – spostiamoci un poco per non ostruire la strada -.

Io gli ubbidisco, mi porto davanti al cancello d’ingresso pedonale del convento che si affaccia sulla piazza, ma chissà perché scatta dentro di me un piccolo campanello di allarme; penso che avrei dovuto chiedere agli automobilisti fermi dietro di me che aspettassero appena un attimo prima di ripartire, al fine di apporre come testimoni la loro firma sulla constatazione amichevole. I testimoni naturalmente proseguono in fretta per la loro strada. Il mio investitore guarda attentamente lo sportello danneggiato e mi dice:

– Signora, io sono in una classe molto vantaggiosa ormai, e se mi scatta il bonus malus rischio di rimetterci molti più soldi di quelli che ci rimetterei facendoLe sistemare per benino l’automobile a spese mie -.

Neppure questo discorso mi piace molto. Tutti sanno che le macchine tedesche sono robustissime e che la riparazione di un danno di carrozzeria dall’apparenza quasi lieve costa in realtà moltissimo. Si, certo, oggi qualsiasi riparazione di carrozzeria ha costi enormi di pura manodopera; e se ne trovasse uno, di carrozziere, che ti dia la ricevuta fiscale senza addurre il pretesto che ti fa risparmiare il 20% d’IVA. D’altronde ho cambiato dentista per affidarmi a uno che mi fa pagare caro ma mi dà la ricevuta, ho cambiato ginecologo per la stessa ragione, ho cambiato meccanico, ho cambiato lavanderia e forse dovrò ri-cambiarla perché dopo quattro anni di correttezza, oltre che di roba lavata e stirata bene, la Signora Piera, titolare della lavanderia, l’ultima volta non mi ha dato la ricevuta: non posso cambiare a ogni piè sospinto i fornitori di ogni genere di servizi. Per i carrozzieri poi, devo confessarlo, ho una simpatia speciale. Sono quasi sempre operai che sono stati capaci di mettersi in proprio, gente che ha lavorato duramente, senza risparmiarsi, ed è poi riuscita a diventare titolare di piccola azienda che dà lavoro a quattro o cinque operai. Insomma, è quel tipo di evasione fiscale che pur sempre mi dà noia perché a me tocca di pagare anche le loro tasse, ma che mi fa una certa simpatia perché consente l’impiego di risorse umane, attive e volitive, in un settore davvero produttivo, che deve stare sul libero mercato senza protezioni statali.

Ma torniamo al Richard Gere arruffato e un po’ sgualcito.

– Signora -, scandisce in modo preoccupato – io sono un avvocato e ho tra breve un appuntamento con una persona. Sono un po’ in ritardo.-.

– Ah, bene, – gli rispondo -, il mio più caro amico, il padrino di mia figlia, è un magistrato, seppure non a Rivigline. Allora mi dia adesso la sua tessera di codice fiscale e mi segua immediatamente dal mio carrozziere, il quale ha l’officina qui vicino; gli spieghiamo la situazione e ci facciamo fare da lui una stima dei danni e un preventivo dei costi di riparazione.-.

Si, sono arrabbiata con me stessa perché do sempre alla gente la possibilità di fare il proprio interesse rimettendoci qualcosa di mio, quantomeno tempo ed energie. Intendiamoci, sono anche un po’ allarmata. Mentre andiamo io con la mia e lui con la sua macchina dal carrozziere controllo costantemente che mi segua. Cerco di leggere la targa della sua macchina e di imprimermela in mente. Ma a me resta a stento impresso nella memoria il nome di mia figlia, figuriamoci se la coscienza vigile è disposta a trattenere per più di due secondi una serie disarticolata di lettere e di cifre. Se il Richard Gere formato Provincia profonda tentasse di scappare, pur di riacciuffarlo sarei disposta a lasciarci le penne, questo è certo. Ma quando si dice la sfortuna: via Camminati, dove sta il mio carrozziere, è sbarrata completamente per lavori in corso proprio pochi metri prima della svolta a sinistra per cui ci si immette nella stradina che porta all’autofficina. Io e l’investitore siamo costretti a fermarci.

– Salga sulla mia macchina, – gli dico – lasci qui la sua e cerchiamo di superare lo sbarramento -.

– Ma signora, ė impossibile. La strada è proprio tutta sbarrata. Io devo andare al mio appuntamento [ma è un modo di parlare da avvocati, questo?]. Facciamo così, scambiamoci i recapiti telefonici, Lei va con calma dal Suo carrozziere entro il pomeriggio, passando dalla strada bassa, sulla proda del fiume, e stasera io la chiamo per sentire che preventivo Le ha fatto -.

Se ne va. Continuo a pensare che qualcosa non mi torna. Nondimeno riesco ad andare a Fortebasso e a lasciare il computer alla SOS prima della chiusura dell’ufficio.  Alle 14.30 sono dal mio carrozziere. Lui stima che il danno non sia inferiore ai 600 euro. Mi spiega che la macchina tedesca è molto robusta anche perché all’interno dello sportello c’è una solida sbarra paraurti. Grazie a questa sbarra la rientranza non sembra a prima vista un danno grosso, ma quasi certamente la sbarra interna si è leggermente incurvata. Vedi quanto tempo mi tocca perdere a causa del Richard Gere formato Monti Penestrini un po’ polveroso e sgualcito. Il carrozziere, per confortarmi, mi dice che se l’investitore ha ammesso la sua piena responsabilità e mi ha lasciato la sua tessera di codice fiscale ha certamente intenzioni oneste. Già, ma io non sono riuscita a prendere il suo numero di targa, non so quale sia la sua assicurazione, non ho il suo indirizzo e ho solo il numero del suo cellulare. A lui io ho dato il mio numero di casa, dato che la Telecom non me lo ha staccato, nonostante io abbia chiesto da quasi un mese la disattivazione. Il carrozziere prende l’elenco telefonico e controlla se in città abiti un signore con quel nome e cognome: Silvano Grattugia. C’è una sola Grattugia sull’elenco, una certa Carolina.

– Potrebbe essere sua madre – suggerisce il carrozziere – le telefoni e lasci un messaggio per il signor Silvano con il preventivo da 600 euro -.

Mi offre cortesemente il suo telefono, e così, dall’autorimessa, chiamo casa Grattugia. Nessuno risponde. Me ne ritorno a casa mia mesta mesta. A pomeriggio inoltrato riprovo a chiamare il numero telefonico di Carolina Grattugia. Questa volta risponde una donna. Le dico che cerco il Signor Silvano per comunicargli un preventivo relativo a danni da lui causati a me.

– Oh poveretta – dice subito la Signora Grattugia – stia attenta. E’ un mio cugino di secondo grado, un malfattore, un imbroglione. Si spaccia per avvocato e ne ha combinate di tutti i colori. Corse di cavalli, scommesse clandestine, estorsione di denaro a donne sprovvedute, anche in Meridione, dopo aver promesso di sposarle. Io ricevo telefonate da legali e da assicurazioni un po’ da tutta Italia. Non so dove abiti. È davvero riviglinese di nascita. Posso dirLe con certezza soltanto che fino a cinque anni fa abitava nella via tale al numero talaltro, una traversa della centralissima via Buonarroti. Per carità, se avrà altri contatti con lui non mi menzioni. Già anni fa lui mi ha minacciata per telefono di vendicarsi duramente di me se ancora avessi osato dare informazioni su di lui -.

Mi pare di averci il malocchio. Nella stessa settimana la zuffa con il baronello querulo e Grattugia: e come potrò cavarmela? Telefono immediatamente ad Arcangelo il magistrato che mi è amico fraterno, il quale al pomeriggio scrive in Tribunale le sue sentenze, e gli lascio sulla segreteria telefonica un messaggio accorato, con la preghiera di fornirmi illuminati consigli e concreto sostegno. Arcangelo non si fa sentire. In compenso, prima di cena, telefona il Grattugia. Sto attentissima a non lasciar trapelare nessuna speciale emozione e laconicamente gli dico del preventivo pari a euro 600 invitandolo a mettersi direttamente in contatto con il mio carrozziere per farsi spiegare per benino come stanno le cose; e frattanto, sinteticamente, gliele spiego io. Grattugia ribatte dice che 600 “euri” sono una cifra enorme e che il mio carrozziere ci vuole mangiare su.

– Senta signora, io nei prossimi giorni sono impegnatissimo. Incontriamoci lunedì, sul luogo del sinistro, alle 14 o alle 14.30 e andiamo insieme dal mio carrozziere, il quale certamente farà una stima più appropriata -.

– Se io vengo con Lei dal Suo carrozziere gli chiediamo di buttar giù una brevissima ma ben fondata relazione sul danno, poi andiamo dal carrozziere mio e gli facciamo fare la stessa cosa. Io voglio esser certa che la mia macchina venga sistemata bene e non rattoppata soltanto -.

Ci congediamo dopo aver fissato il nostro appuntamento per lunedì alle 14.30 sul luogo del sinistro. L’indomani mattina vado all’indirizzo che mi aveva dato la cugina, ma la portinaia dello stabile mi dice sgarbatamente che il Grattugia da tempo non abita più lì e che lei non sa dove egli abbia casa ora. Vado  quindi alla mia assicurazione e racconto tutto quanto. Mi ascoltano con molta attenzione ma sfoderano uno scetticismo desolato (e desolante): il Pubblico Registro Automobilistico fornisce i nominativi corrispondenti alle targhe delle macchine ma non compie la reciproca. Senza i caratteri della targa non vi è alcun modo di risalire al Grattugia e alla sua assicurazione. Quanto al codice fiscale, non è propriamente un documento. Senza bisogno di denunciarne lo smarrimento né in questura né ai carabinieri è possibile chiedere via Internet un duplicato della tessera direttamente al Ministero delle Finanze, che provvede a inviarlo al domicilio del richiedente per posta. Esorto il titolare dell’agenzia e quelli della sezione sinistri auto a tentare con ogni sistema di procurarsi la targa. Ribattono che il Grattugia forse guidava una macchina non sua (io non sono neppure in grado di dire che tipo di macchina esattamente fosse; so dire solo che era una berlina scura e polverosa). Mi suggeriscono di rivolgermi al magistrato padrino di mia figlia affinché chieda o alla polizia giudiziaria o ai carabinieri o ai finanzieri di telefonare al PRA, che darà sicuramente l’informazione alle forze dell’ordine. Figuriamoci se Arcangelo chiederebbe mai questa cortesia, che sarebbe una specie di abuso di potere. Lui – se anche avesse l’assoluta certezza che nessuno mai verrebbe a conoscenza della cosa – si farebbe ammazzare piuttosto che usare della sua posizione di magistrato per ottenere un favore (che qui sarebbe anche un atto di giustizia, perbacco! Si riuscisse almeno ad avere l’indirizzo del Grattugia, visto che deve avere una fedina penale più lunga della barba di Matusalemme).

Telefono a due avvocati miei buoni conoscenti. Certo che hanno sentito parlare del Grattugia, un truffatore che si spaccia per avvocato. Non sanno altro, ma mi promettono che tenteranno di avere qualche informazione utile, almeno l’indirizzo. Mi richiamano: niente da fare, nel loro ambiente perbene nessuno sa come rintracciare il malandrino. Bisognerebbe parlare con qualche pregiudicato, ma in definitiva la cosa più giusta è di rivolgersi all’agenzia investigativa privata Tom Ponzi. Per 100 euro mi rintracceranno sicuramente il Grattugia. Però l’agenzia desidera che sia uno studio legale con relativa carta intestata a far partire la richiesta di indagine. Ringrazio molto e riattacco. Cerco di concedermi una pausa mentale. Magari lunedì Grattugia verrà all’appuntamento.

Io ci arrivo in perfetto orario, con la mia macchina acciaccata. Lo aspetto più di mezz’ora, e naturalmente osservo tutte le macchine che transitano nella zona della piazza in cui mi trovo. A un certo punto ho l’impressione di vedere arrivare una berlina simile a quella dell’incidente con un tizio dai capelli un po’ arruffati e brizzolati sopra. Ma la berlina rallenta un pochino e poi se ne va per un’altra strada. Che fosse il Grattugia, in perlustrazione per vedere se io mi presentavo, e se io mi presentavo accompagnata invece che sola? Me ne torno a casa mesta mesta mesta. La mia migliore amica, l’unica tra gli amici al corrente della faccenda, mi telefona per avere notizie. Mi offre di far cercare l’indirizzo del Grattugia da un finanziere che ha molta dimestichezza con suo marito; l’impresa dovrebbe essere abbastanza facile, purché i dati indicati nel codice fiscale del farabutto siano autentici. Accetto, naturalmente. Lei mi promette anche di testimoniare d’essersi trovata sul posto al momento del sinistro e di aver visto tutto: la responsabilità dell’incidente ricade interamente sul Grattugia. Naturalmente lei dirà – e io pure dirò – che ci conosciamo solo di vista, per avere avuto i figli nella stessa scuola (dalle suore, l’abitazione delle quali si affaccia sulla famigerata piazza). Che sarà mai una falsa testimonianza? Qui occorre fare giustizia, punto e basta.

Anzi, all’uopo, ritelefono al magistrato del quale parecchie persone credono che io sia l’amante, e questa volta riesco a parlargli. Gli racconto gli ultimi sviluppi della vicenda.

– Senti, – mi dice lui – va’ in questura, racconta tutto quel che è accaduto, incluse le informazioni che hai avuto su quel tipo e soprattutto porta il suo codice fiscale dichiarando che molto probabilmente è falso, come tutto il resto. Se si appurerà che quel tale andava in giro con documenti falsi il pubblico ministero si darà certamente da fare per riuscire a trovarlo. Questa cosa del documento falso è la sola che abbia rilevanza penale, tutto il resto è questione di civile e basta, per cui dovresti pagare avvocati e investigatori per farlo rintracciare e poi sobbarcarti alle spese e allo stress di una causa civile senza neppur sapere se quel tanghero è in grado di rimborsarti -.

Non sono affatto d’accordo con il carissimo Arcangelo: – Se vado in questura a fare una dichiarazione giurata per accusare Grattugia d’aver probabilmente falsificato una cosa che neppure è un documento i questurini vorranno sicuramente tenersi il suo C.F. per allegarlo, diciamo, alla denuncia; e io non intendo affatto consegnare a chicchessia quella tessera, la quale secondo me è autentica e costituisce la sola “arma” che Grattugia stesso ritiene io abbia contro di lui: il fatto che il C.F. del lestofante sia in mio possesso dona credibilità alla mia versione dei fatti -.

Arcangelo ci riflette un po’ su e conviene che vi è del buon senso in ciò che gli ho ribattuto. Non faccio in tempo a riattaccare il telefono che chiama il Grattugia. – Signor Grattugia, perbacco, io l’ho aspettata più di un’ora oggi. Ma dove si è cacciato?-.

– Mi è capitato un impegno tra capo e collo. Ho cercato per tutta la mattina di avvertirLa che non mi era possibile presentarmi, ma al Suo telefono non ha risposto nessuno -.

– Si, è vero, sono stata fuori tutto il tempo, oggi. Allora che facciamo? –

– Potremmo vederci domani o dopodomani -.

Questa volta debbo essere abile. – Senta, domani non posso, perché sono impegnata a Chiaromonte per l’intera giornata, questioni lavorative. Dopodomani ho da fare nuovamente lezione a Chiaromonte, ma correndo come una disperata potrei prendere il treno alle 16.53 ed essere in piazza dell’Aeronautica, davanti al cancello delle suore, alle 18.00. Io, oltretutto, abito da sola, e non ho proprio nessuno da mandarLe in vece mia -.

Lui accetta per mercoledì alle 18.00. Un paio d’ore dopo la breve conversazione telefonica, quel lunedì sera, Amanda, mia figlia, viene da me con un suo amico per mettere a punto una strategia efficace. Si decide che i due ragazzi arriveranno in piazza venti minuti prima di me; si fermeranno a bere qualcosa al bar che sta muro a muro con l’edicola; cinque minuti prima del mio arrivo usciranno dal bar chiacchierando e tenendo in mano entrambi il proprio telefonino, come oggi fanno tutti. Continueranno a conversare con noncuranza davanti all’edicola. Quando io arriverò, senza neppure guardarli, parcheggerò davanti a loro. Se loro vedranno che stringo la mano a un tale che non hanno mai visto capiranno che trattasi del de cuius. Annoteranno il numero di targa della sua macchina e qualsiasi altro dato possa essere utile e visibile. Se la macchina con cui Grattugia si presenterà non sarà la medesima che ha cozzato contro il mio sportello io mi gratterò lentamente l’orecchio sinistro. Tuttavia i ragazzi annoteranno diligentemente anche i dati della eventuale seconda macchina. Solo dopo che ce ne saremo andati via Grattugia e io se ne andranno via anche loro, per una strada diversa. Mia figlia disapprova nel modo più assoluto che io abbia detto al Grattugia che sono una donna sola, e non le arride neppure l’idea che io vada con quel tipo dal suo (del malandrino) carrozziere. Le faccio osservare che vivo, o meglio che lavoro, gomito a gomito con la feccia e con la schiuma da almeno venticinque anni. In confronto ai sinistri briganti che popolano le mie giornate Grattugia è un dilettante ingenuo e inoffensivo. D’altronde a quest’ora Grattugia avrà controllato tutti i miei dati. Saprà che ho fama di essere l’amante di un alto magistrato, conoscerà il mio esatto indirizzo di casa. È di gran lunga preferibile correre i rischi che ci son da correre e sperare che stavolta venga all’appuntamento.

Viene, infatti: vuoi vedere che avergli lanciato l’esca della donnetta sola e indifesa ha funzionato? Insomma, forse ha un pochino abboccato all’amo, ha deciso di venire anche perché spera di  concludere una seduzione-estorsione nonostante io sia sotto la protezione di un magistrato molto stimato: ma l’idea di competere e aver la meglio su un giudice severo e integerrimo, adescandone e frodandone in vario modo l’amica, probabilmente esercita un fascino calamitante su uno psicopatico. Io arrivo con tre minuti di ritardo, perché son passata da casa a deporre tutti i gioielli veri che indossavo e ad agghindarmi con elegantissime perle false oltre che, naturalmente, a prendere la mia macchina. Con la coda nell’occhio intravedo i ragazzi seduti sopra una specie di ringhiera sul marciapiede davanti all’edicola. Una berlina scura e abbastanza sozza è parcheggiata davanti al cancello pedonale dell’Istituto di suore. Ci giro intorno. E’ una Lancia K. E’ segnata da molti graffi, ma non ci sono segni di urto, neppure un fanalino rotto, né davanti né dietro. Com’è possibile? Non vorrà mica ora dire, quel malvivente, che non c’è stata nessuna implicazione della sua macchina nel sinistro e che io sono una visionaria? Mentre questi lieti pensieri mi frullano per il capo arriva Grattugia, che era dentro l’edicola, credo.

– Oh, Signor Grattugia, cominciavo a temere che mi bidonasse anche oggi -.

– Ma no, ma no, il mio carrozziere ci aspetta -.

– Signor Grattugia, io sono stanca. Per favore, facciamo una bella constatazione amichevole e chiudiamo la faccenda. Tanto è impossibile che Lei venga a spendere per la riparazione una cifra inferiore rispetto a quella che La porterebbe dalla classe assicurativa più economica, in cui Lei dice di trovarsi, alla classe, ahimè, più alta -.

– Ma che dice, Signora, Lei non sa quel che dice. Io ho una polizza speciale per cui in un unico contratto assicurativo sono incluse tutte e due le mie macchine, Se mi scatta il bonus per una, scatta automaticamente anche per l’altra -.

Una cosa simile non l’avevo sentita mai. – Ma che polizza è? Da quando in qua più macchine stanno dentro la medesima polizza? Questo può accadere per le persone, per esempio con le polizze famiglia-salute -.

– Brava, per le mie macchine vale un principio analogo. Ora andiamo dal mio carrozziere – .

– Si, però poi andiamo anche dal mio -.

– Lei è proprio fissata; guardi che ho parlato anche con un mio amico perito di assicurazione, il quale mi ha detto che se la Sua rientranza è come io gliela ho descritta è impossibile che la sbarra interna del suo sportello possa essersi curvata, anche solo leggermente. Andiamo dal mio carrozziere e vedrà che si troverà bene. E poi magari ci diamo un appuntamento per un aperitivo o per un caffè. Guardi, lascio qui la mia macchina e andiamo con la Sua -.

– No, no, per favore. Lei vada avanti con la Sua macchina e io Le vengo dietro con la mia -.

Capisco bene che i ragazzi, nel frattempo, avranno annotato il suo numero di targa, ma voglio per maggior sicurezza annotarmelo anch’io. Scrivo su uno scontrino di posteggio mentre guido. Andrà a finire che uscirò di strada e capotterò in un incidente da scasso-la-mia-macchina-completamente. Il Grattugia, dopo aver circumnavigato il cimitero del “mio” quartiere, mette la freccia a destra e si infila, passando attraverso una specie di portale, in un vecchio stabile dall’ampio cortile, di certo un’antica filanda del primo-Ottocento. C’è anche una clinica veterinaria, la quale occupa  solo pochi locali del mal tenuto e tuttavia solido edificio. Esso è in realtà costituito da una serie di fabbricati attaccati l’uno all’altro: nel loro insieme formano una sagoma da doppio ferro di cavallo, sebbene le due corti comunicanti siano entrambe molto lunghe e molto strette: la lunghezza totale misura almeno un centinaio di metri mentre la larghezza non supera mai i 25-30 metri. All’estremità più interna del ferro di cavallo, quella più lontano dalla strada comunale, si trova la vagheggiata (da Grattugia) autorimessa. È il solo edificio a due piani; gli altri sono tutti dei piano terra. La struttura è fatta di cemento impastato a pietroni grezzi ma, soprattutto all’interno, pare un gigantesco antro cavernoso, tutto annerito dal fumo. Dalle finestre un paio di operai similissimi al tipo siciliano di Franco Franchi, occhi e capelli nerissimi, aria da masnadieri, osservano sogghignando me e la mia macchina. Grattugia chiede del titolare. Gli rispondono che arriverà tra qualche minuto. Ne passano almeno venti. Siamo all’aperto nel cortile e comincia a far freddo. Confesso che ho paura; tra poco calerà il buio, e gli “operai” continuano a sghignazzare. “Tra male gatte era venuto il sorco”, cioè io, che però non avevo fatto ancora del male a nessuno. Non c’è lavoro alacre, in quel posto. Non si capisce che ci si faccia.

Finalmente il titolare arriva. Moro, grassoccio, aria da briccone sveglio e simpatico, natalese, come me. Mi dice che suoi clienti sono stati in passato anche il prefetto, e il giudice Tizio (questo lo conosco) e gli avvocati Sempronio e Magno (mai sentiti). Ci fa entrare nell’antro di Polifemo. Ci sono una quindicina di automobili, a terra o sollevate da terra sui “ponti”. Per lo più si tratta di ex-macchine, perché la carrozzeria che le rivestiva è scomparsa o quasi, maciullata o completamente accartocciata e a dire il vero anche il motore è in pessima salute.

– Ma queste macchine sono distrutte, non cammineranno mai più -. Il grido di dolore stupefatto mi è andato spontaneamente e irresistibilmente dal cuore alla lingua.

– Signora, ma che dice, questo è niente. Noi abbiamo rimesso perfettamente in sesto macchine molto più conciate [cioè sconciate] di queste -.

Grattugia si insinua compiaciuto: – Vede come sono capaci di aggiustare carrozzerie disastrate, loro. Rimettere a posto la Sua macchina sarà una cosa da niente per loro -.

Usciamo, il titolare guarda la mia piccola “splendida” e dice: – Lasci fare a me. Per lunedì sarà pronta e Lei non si ricorderà neppure di averci preso una botta; di soldi ovviamente non si parlerà. Lei ritirerà la macchina e a tutto il resto penserà l’avvocato -.    L’avvocato, naturalmente, era Grattugia.

– Senta, – dico io al titolare, – mi metta giù per iscritto una breve stima dei danni subiti dalla macchina e degli interventi necessari a riportarla come era. Io farò fare la stessa, diciamo perizia, dal mio carrozziere e poi prenderò una decisione -.

– Ma certo, ma certo, – dice il titolare, il quale si guarda bene dal prendere carta e penna – Lei ci pensi un po’ su e semmai me la porta lunedì, la macchina –. Il titolare mi dà il biglietto da visita della sua azienda: Carmelo Della Luna (io avrei giurato che dovesse chiamarsi Giampaolo Malacoda), e non c’è un numero di telefono fisso, solo un cellulare.

Grattugia non è soddisfatto; gli faccio osservare che i nostri patti prevedevano una visita a entrambi i carrozzieri, il suo e il mio.

– Anzi, – gli dico – vediamo di fare le cose da avvocati, mi dia i dati della Sua macchina e della Sua assicurazione e io le do i dati miei -.

Per Grattugia sono una persona rognosa, certo (come per i miei innominabili e per i loro valvassini). Mi conduce alla stanzina-ufficio, all’estremità della spelonca opposta rispetto all’ingresso, si siede alla piccola scrivania e prende carta e penna.

– Perbacco, signor Grattugia, Lei qui dentro si muove come se fosse il padrone -.

– Questi, cara Signora, sono miei clienti affezionati. È logico, una mano lava l’altra e tutte e due lavano il secchio. Io faccio una cosa per loro, loro sono in debito, e poi si sdebitano; in questo momento mi devono qualcosa -. Serissimo il Grattugia (che aveva prelevato dalla parte interna del parabrezza della sua macchina lo scontrino della sua assicurazione) mi rilascia la dichiarazione seguente, con firma sia a stampatello che autografa:

Io sottoscritto Silvano Grattugia assumo la responsabilità del sinistro causato alla [dati completi della mia macchina] di proprietà della Sig.ra Alexandra Bonaria Brandisole, assicurata presso Lloid Assicurazioni, assumendone nel contempo le spese di riparazione (rientranza da urto porta lato guida) da effettuarsi presso la carrozzeria Della Luna a spese del sottoscritto, proprietario della Lancia K targata 12345xyzxyz e assicurata presso Assicurazioni Principi di Piemonte. In fede,  09/10/2007.

Prendo la dichiarazione. Almeno c’è un’assunzione di colpa che qualcosa conta, visto che nome e cognome sono autentici, se si presta fede alla cugina di secondo grado Carolina. Il Grattugia vorrebbe che ce ne andassimo tutti e due alle rispettive case. Io lo convinco a venire dal mio carrozziere. Propone che almeno si vada con una macchina sola. D’accordo. Lo faccio salire, e per farlo star comodo tolgo il mio cellulare (di cui non gli ho dato il numero e che non gli ho mai neppure menzionato) dal sedile a fianco del guidatore. Il mio Carrozziere ci riceve sorridente. Noto che non appena Grattugia menziona la carrozzeria Della Luna il Signor Giubilo smette di sorridere. Dice che non vuole mettersi a discutere con un collega, a maggior ragione con un collega che lavora nei paraggi. Grattugia insiste a dire che il danno è riparabile senza dovere smontare lo sportello e, soprattutto, senza doverlo sostituire. Il Signor Giubilo gli dice che alla fin delle fiere i denari che si pagano per lo scatto del bonus malus non son poi una cifra che debba impressionare un avvocato. Grattugia gli dice che lui ha una polizza particolare, una polizza famiglia-automobili ([sic!]: certo, ero stata io la sua musa ispiratrice) tale per cui se gli scattava il bonus per una macchina automaticamente gli scattava il bonus anche per l’altra, che era una Lancia Thema.

Il Sig. Giubilo è costernato: – È la prima volta che sento parlare di una polizza come quella che dice lei, e lavoro da trentacinque anni come carrozziere, e ho a che fare con tutte le assicurazioni che operano sul territorio -.

Certo che il Grattugia le spara proprio grosse grosse. Come diavolo farà a svolgere con guadagno il suo mestiere di furfante?

Alla fine il Signor Giubilo, che ha davvero fatto sforzi enormi per trattenersi, sbotta: – Certo che tutto si può fare. Ma un conto è aggiustare alla bell’e meglio, cioè rattoppare e nascondere la toppa con un po’ di vernice, un conto è fare una vera riparazione, riportando il veicolo alle sue caratteristiche d’origine. In ogni caso la Signora è ovviamente liberissima di fare come crede meglio e io non mi offenderò -.

Non ho bisogno di ascoltare altro. Dico al signor Giubilo che resterò sempre sua cliente, anche se per caso stavolta decidessi di affidarmi al suo collega Della Luna, ribadisco che la notte porta consiglio e propongo al Grattugia di fare ritorno a casa. Lo riaccompagno alla sua macchina parcheggiata in prossimità della spelonca di Polifemo e prima di separarci gli prometto che entro l’indomani sera, venerdì, gli comunicherò le mie definitive risoluzioni. Mi raccomanda, qualora io decida (come lui mi consiglia vivamente) di affidare la mia macchina alla carrozzeria Della Luna, di portare a Carmelo Della Luna anche la tessera di codice fiscale che mi son fatta consegnare.

– Dica a Della Luna che Lei ha la mia tessera perché mi è caduta nella Sua macchina. Gli dica di restituirla all’avvocato. Non dia l’impressione di avere avuto dubbi sul mio conto. Questi sono clienti e la mia reputazione dev’essere salvaguardata. E poi vede bene che in ogni circostanza mi sono comportato con assoluta correttezza -.

L’indomani di buon mattino telefono alla mia assicurazione e do al Sig. Morgante, responsabile della sezione sinistri-auto, i dati dell’automobile di Grattugia, assicurazione inclusa, specificando che Grattugia dice di avere una polizza famiglia-auto tale per cui, se il bonus scatta per una macchina, automaticamente scatta anche per le sue consanguinee, qui, nella fattispecie, per una sola sorella che è una Lancia Thema. Il solerte `e gentilissimo funzionario mi dice che devo aver capito male perché una polizza siffatta non esiste né mai è esistita. Dopo un paio d’ore il Sig. Morgante mi richiama, per informarmi che Grattugia non è più assicurato con i Principi di Piemonte da due anni e che essi nulla di nulla ormai sanno di lui; insomma, il briccone ha contraffatto un vecchio talloncino di assicurazione. Quanto alla targa, la macchina risulta intestata a una fantomatica società MVS di Pietro Apostolo & C. Non manca insomma un certo contorno religioso a tutta questa vicenda. Io sto per scoppiare a piangere. Il Signor Morgante, per consolarmi, dice che una sorta di romanzo giallo o di spy-story come questa non gli era mai capitata finora in trent’anni di carriera. Probabilmente lui un po’ si sta divertendo; io, invece, ho completamente perduto ogni senso dell’umorismo.

Richiamo l’amico magistrato, gli racconto tutto e gli dico che mi accingo a recarmi in questura per accusare Grattugia di essermi venuto addosso scientemente e deliberatamente, quella maledetta mattina, per due distinte ragioni: 1) perché certamente lui usa la tattica dell’incidentino per abbordare donnette sprovvedute che poi seduce a fini di estorsione (io non porto la fede e guidavo una macchina abbastanza bella); 2) perché con la scusa di evitare il balzo nella classe assicurativa dei cattivi automobilisti lui procaccia macchine nuove, tra quelle più prese di mira dai ladri d’auto, all’ambiente malavitoso, che se ne serve per i suoi diversi loschi fini. Invece di rubare la macchina e portarla nella nera spelonca dove i suoi complici la smonteranno per asportarne tutto ciò che è possibile asportare, il Grattugia convince le sue vittime a condurre di loro volontà la propria automobile nell’arsenale affumicato e pieno degli scheletri di veicoli che furono. In quell’officina, chiaramente, auto rubate per chissà quali fini scellerati vengono smontate e forse riassemblate diversamente, mentre per altro verso si rimettono in sesto, limitatamente allo strato più esterno, il solo visibile da noi donnette, auto che non potranno mai più camminare: probabilmente per rivenderle come usato buono, con la complicità della mafia o di altra nefanda associazione a delinquere.

Non la finisco qui, nello sfogo-requisitoria al mio caro magistrato allibito: – Dirò inoltre che la sera in cui il bandito e io siamo andati insieme dai due carrozzieri, egli, dopo che abbiamo lasciato l’officina del Signor Giubilo, mi ha fatto prendere per una scorciatoia che io non conoscevo, una stradina asfaltata che riprende probabilmente il tracciato di un vecchio sentiero. Dirò che era quasi buio e che a un certo punto lui ha emesso un urlo di terrore; allora io ho fermato la macchina, temendo d’esser sul punto di investire qualcuno che al buio non avevo visto. Subito lui mi è saltato addosso, ha cercato di strapparmi i vestiti, ma io sono vigorosa, mi sono difesa, gli ho gridato che mia figlia e il suo amico ci stavano seguendo, sì, quei due ragazzi che oziavano in piazza della questura, proprio vicino a noi. Ecco, i due ragazzi stanno arrivando. Allora il Grattugia apre la porta dal suo lato e fugge a piedi. Lo stupro non gli è riuscito ma poco ci è mancato. Ho sulle mani diverse croste fresche, per le scottature che mi procuro con il forno; adesso mi faccio qualche graffio da sola, non con le mie unghie beninteso, e in questura ci vado domani a denunciare il tutto -.

Arcangelo è quasi senza parole: – Ma lo sai che la calunnia è punita fino a otto anni di galera? -.

– E il tentativo di stupro? –

– Fino a nove anni -.

– Allora vedi bene che devo fare la mia bella denuncia. A chi si crederà, a uno con la fedina penale lunga chilometri o a una distinta signora incensurata e dalla condotta sempre irreprensibile? Il Signor Giubilo testimonierà che abbiamo lasciato insieme la sua officina all’imbrunire, avviandoci su quella strada per la quale ora non transita quasi nessuno, solo i residenti. E poi magari la mia bambina e soprattutto il suo amico testimonieranno a loro volta di averci sempre seguito cautamente e di essere arrivati mentre urlavo, subito prima che il Grattugia fuggisse a piedi -.

– Tu sei una testa calda, e ti caccerai in guai tremendi -.

– Ma no, sono solo una che, a furia di vivere in mezzo alla feccia e al canagliume ha appreso l’arte della legittima difesa. Sono una specie di Andreuccio da Perugia. –

Questa è l’ultima telefonata che faccio dal telefono fisso di casa mia. Già, perché circa tre settimane prima, all’ennesima bolletta con cifre astronomiche, avevo chiamato la Telecom e avevo dato la disdetta. Ignoro perché la Telecom ci abbia messo ben tre settimane a effettuare l’espulsione del mio telefono fisso, ma finalmente l’ha effettuata. Perciò Grattugia non ha più nessun modo di mettersi in contatto con me. Perbacco, è necessario che lo chiami io al suo cellulare. Ciò faccio da un telefono pubblico di Piazza dell’Aeronautica, dopo aver comprato la relativa scheda. Lui risponde subito, anche se non può riconoscere il telefono da cui proviene la chiamata: – Senta Signor Grattugia – gli dico – ci ho riflettuto e mi sembra che Lei stia navigando in cattive acque economiche. Chissà, forse ha fatto qualche investimento sbagliato. Diamoci un appuntamento presso l’officina del Signor Giubilo, Lei mi porta quattrocento euro in contanti e chiudiamo tutta questa faccenda -.

Lui non tergiversa: – D’accordo, Signora, d’accordo. Vediamoci da Giubilo domani sera alla stessa ora dell’altra volta, e poi andiamo a cena insieme -.

– Guardi – rispondo – domani sera temo proprio che non sia possibile perché i carrozzieri sono chiusi di sabato. Facciamo lunedì alle 18.00? –

– Va bene -, dice lui tranquillo.

– E mi raccomando, porti il denaro pattuito in contanti – ripeto.

– Ho capito benissimo – chiude lui, stavolta freddino.

Riattacco. Sono scettica. Troverà un pretesto per non venire all’appuntamento: è stato troppo chiaro che non ci sarà seduzione alcuna (io, tra l’altro, non ho mai trovato attraente Richard Gere: il mio tipo è Sean Connery, quello del film tratto dalla patacca di Umberto Eco e ancora degli Indiana Jones; mi piace moltissimo anche Harrison Ford, specie nel remake di Sabrina).

Passo un fine settimana da dimenticare. La mia migliore amica cerca di confortarmi come può, tornando a promettermi che se lunedì sera Grattugia non verrà dal Sig. Giubilo con le banconote fruscianti, martedì, dopo il ritorno da Chiaromonte, io farò la mia denuncia contro di lui per un bel pacchetto di reati i più diversi, e lei testimonierà che lui è venuto a cozzare contro di me intenzionalmente.

– Piuttosto – dice la mia amica, che è sempre vissuta nell’ambiente dei commercianti – hai pensato a cautelarti dal rischio che lui venga ma ti consegni banconote false? Guarda che ormai stampano euro falsi contraffatti in maniera perfetta, sebbene falsificare gli euro sia più difficile che falsificare le vecchie lire -.

Lei si dà da fare e anch’io, e anche i nostri figli cercano di collaborare ma non riusciamo a trovare nessun conoscente in possesso della macchinetta (lei è sicurissima che esista) capace di distinguere i soldi buoni da quelli cattivi. Sono proprio abbattuta.

Domenica sera vado a letto pensando che Grattugia, oltretutto, potrà sempre giustificare più che validamente la sua defezione dell’indomani affermando in tutte le sedi competenti che invano ha cercato di contattarmi per telefono al fine di spostare un pochino, in avanti o all’indietro, l’orario dell’appuntamento: il mio numero di telefono, il solo che gli avessi dato, non era più attivo. Al mattino di lunedì, dopo aver trascorso una notte molto agitata, in cui l’hanno fatta da padrone le banconote false, ancora prima di prepararmi il caffè, agguanto il cellulare e chiamo Grattugia, il quale mi risponde con voce impastata di sonno. Gli dico che mi sento male (il che è verissimo) e lo prego di anticipare il nostro appuntamento alle 13.00, davanti alla centralissima filiale della San Paolo Imi (dove ho il mio conto corrente, certo). Freddo freddo il Grattugia mi risponde che ha una giornata piena di impegni, dentro e fuori città, e che ha organizzato la sua agenda subordinando ogni cosa al fatto di potersi trovare alle 18.00 da Giubilo.

– Va bene, va bene, mi scusi. Allora a stasera -. Possibile che io non ne azzecchi una? Il fatto che la Telecom mi avesse staccato il telefono mi rendeva sì irraggiungibile, ma mi cautelava da eventuali persecuzioni e ritorsioni di ogni indole da parte dello stravagante e maniacale ribaldo. Ed ecco che mi sono testé dimenticata di premere, prima di chiamarlo, i tasti grazie a cui si rende anonima la propria chiamata; di conseguenza il numero del cellulare “chiamante”, il mio, si è impresso sul display e sulla memoria del cellulare “chiamato”, il suo. Forse è opportuno che io mi rechi immediatamente a disdire il mio unico contratto di telefonia cellulare per attivarne un altro, con numero diverso. Ma il mio motto, l’ho già proclamato, è che la notte porta consiglio: da anni, prima di abbracciare un qualsiasi partito, in questioni di media o di grande importanza, ci dormo (o non ci dormo) su almeno una notte.

Intorno a fine mattinata la mia mente annebbiata dall’ansia riacquista lucidità. Comincio a vedere la situazione con gli occhi della mente di Grattugia. Egli avrà sicuramente tentato di chiamarmi al fisso almeno una volta, negli ultimi due giorni. Comprendendo che il mio telefono sembrava essere stato staccato dalla Telecom avrà riprovato, per esser certo che così effettivamente fosse. Raggiunta la certezza che il telefono al quale gli avevo risposto nei primi giorni della spy-story era stato disattivato, avrà certamente creduto che ciò sia avvenuto per ordine impartito dalla magistratura (capitanata dall’amico Arcangelo) alla Telecom. Il fine della Giustizia è anzitutto quello di tutelare me dai malintenzionati (la schiera dei quali è capitanata da Grattugia), mentre parallelamente si studia una strategia atta a far cadere in trappola il birbante, il suo complice Della Luna e chissà chi altri. Il fatto che io abbia chiamato al mattino di lunedì dando di fatto, surrettiziamente, un altro recapito telefonico al quale sono chiaramente raggiungibile dev’essere stato architettato a bella posta da me e dalla Magistratura per impedire che Grattugia possa avvalersi della scusa che io mi sono resa irreperibile. A farla breve: la MAGISTRATURA e io gli stiamo dando una sola chance o una sola via per sottrarsi a chissà quali trappole: quella di onorare la promessa di venire da Giubilo alle 18.00 con quattrocento euro. Qualora Grattugia non venisse, qualsiasi Pericolo Ignoto, da quel giorno in poi, potrebbe stroncare la sua onorata carriera di truffatore.

Subito prima dell’ora del desinare arriva Violante, mia figlia. La sua espressione compunta maschera a stento il riso degli occhi e una certa piega gaia della bocca. Tiene in mano il quotidiano locale. – Ma Lilli, perché hai comprato quel giornalucolo? Non seguiamo la cronachetta cittadina, la sola cosa interessante che contiene sono i necrologi -. – Oggi però, mamma, vale la pena leggerlo. Ti raccomando di porti in uno stato d’animo tranquillo e rilassato perché, grazie al cielo, a te e a me non accade niente che debba preoccuparci -,

Comincio a leggere l’articolo indicatomi da mia figlia. Mi soffermo sui capoversi che mi ricordano più da vicino le mie recenti esperienze. Il pezzo cominciava in prima pagina con titolo su cinque colonne: “Sgominata una pericolosa associazione a delinquere specializzata nell’usura”. Il cronista rappresentava ai lettori che la sera precedente carabinieri e polizia avevano felicemente condotto a termine un lavoro investigativo che li aveva impegnati per mesi. L’associazione a delinquere in oggetto era mascherata dietro la copertura di una grossa autofficina di riparazione delle carrozzerie d’automobile, titolare della quale era il calabrese Carmelo Della Luna. Quest’azienda aveva come propaggine la società MVS di Pietro Apostolo & C., la quale formalmente si occupava di leasing e di consulenza del lavoro.

Gli inquirenti ritenevano che il Della Luna fosse la mente e il capo assoluto dell’organizzazione. La serie delle attività criminose che da lui procedevano includeva un vasto giro di scommesse clandestine, di sfruttamento della prostituzione e soprattutto di usura. La società MVS ecc. aveva principalmente il compito di attirare le vittime da far cadere nella rete degli usurai. Queste, piccolissimi imprenditori, commercianti, artigiani e anche operai in difficoltà venivano inizialmente allettate mediante l’offerta di un piccolo prestito a condizioni relativamente favorevoli. Poi veniva proposta una proroga nella restituzione, ma a condizioni assai meno favorevoli. Di lì a poco il gioco era fatto, e le vittime perdevano in poco tempo tutte le loro sostanze: il negozio, se ce l’avevano, la casa, l’automobile.

Il Della Luna però, al fine di evitare che le vittime lo denunciassero per usura, nel momento in cui le metteva nel lastrico, dava loro a titolo di baratto – tale baratto era previsto formalmente nei patti che regolavano la proroga del prestito – due, tre e perfino quattro automobili di seconda mano e di grossa cilindrata ma ancora in produzione. Queste erano state da lui rappattumate alla bell’e meglio e rese esteriormente a posto dopo che avevano subito incidenti e danneggiamenti gravi. Le vittime, cittadini sempre incensurati, i quali talvolta erano stimati dalla comunità, tendevano così a trasformarsi a loro volta in delinquenti: cercavano per lo più, infatti, spesso con successo, di rivendere le automobili o a loro conoscenti oppure a piccoli concessionari che trattavano l’usato. Assicuravano ovviamente che vendevano un’automobile quasi nuova, da loro appena acquistata da persona di fiducia ma per loro troppo costosa da mantenere. Le indagini erano partite infatti dalle denunce, non troppo distanti l’una dall’altra, di tre acquirenti di automobili le quali avevano fatto il maquillage chez Della Luna. Queste persone si erano rese conto di aver pagato al prezzo della seconda scelta di ottima qualità veicoli che avevano subito in realtà grossi danni al motore oltre che alla carrozzeria. I piccoli e non piccoli concessionari che avevano fatto da tramite fra gli ultimi acquirenti e le vittime dell’usuraio cadute nella tentazione del malaffare erano riusciti a dimostrare la loro perfetta buona fede e sostanziale innocenza e così, pian piano, il mosaico dei raggiri era stato ricostruito in tutti i suoi dettagli. Molto pian piano, perché le vittime dell’usuraio erano trattenute da una doppia paura: quella delle ritorsioni della organizzazione a delinquere e quella di subire pene più severe se forze dell’ordine e magistrati avessero compreso che le vittime dell’usura, per evitare la completa rovina e la miseria tetra, avevano finito per trasformarsi in complici dei delinquenti professionali.

Della Luna era riuscito a fuggire prima della retata notturna e lo si stava attivamente ricercando. Diverse persone che lavoravano per la società MVS di Pietro Apostolo & C. erano state denunziate a piede libero dai carabinieri. Tra queste persone, sul cui ruolo effettivo e sulla cui posizione si stava ancora indagando, era menzionato Silvano Grattugia, noto alla giustizia per altri piccoli reati. Il primo pensiero che penetrò nella mia mente, dopo che ebbi finito di leggere, fu che quel briccone di Della Luna, dunque, era calabrese. Egli aveva compreso che non ero in grado di distinguere con sicurezza l’accento calabrese da quello siciliano e si era spacciato per siciliano al fine di ingraziarsi la mia persona e mettersela in tasca. Violante mi fissava silenziosamente con aria comprensiva e affettuosa. – Lilli – le dico – il resto credo di averlo capito, diciamo, abbastanza. Quel che non capisco è da dove venivano tutte quelle carcasse senza speranza di automobili che Della Luna teneva nel suo colossale antro con i muri e i soffitti dall’intonaco affumicato e con pareti di pietra di color ferrigno -. – Mamma, Della Luna era in contatto con un numero sterminato di piccole carrozzerie sparse su tutto il territorio nazionale, le quali avevano il compito di acquistare per suo conto macchine senza speranza, come dici tu; si serviva anche, abbondantemente, di sfasciacarrozze e di officine responsabili del soccorso autostradale, che gli rivendevano per pochi soldi le automobili con le caratteristiche indicate dal Della Luna stesso. I suoi uomini le andavano a prendere e le trainavano fino alla sua carrozzeria/officina, viaggiando quasi sempre durante la notte ma con documenti in regola, certo. Le automobili venivano infatti spostate solo dopo essere state intestate alle vittime dell’usura, le quali risiedevano per lo più nel nostro territorio o in province limitrofe. Chissà a quanti controlli di polizia saranno stati sottoposti gli scagnozzi di Della Luna, nel corso dei loro viaggi -.

Sospiro, ripensando a quelle facce di avanzi di galera con gli occhi e i capelli nerissimi, che mi avevano osservata sghignazzando quella sera in cui avevo seguito Grattugia alla spelonca. Ma non dico nulla.

Nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno arrivo dal signor Giubilo con cinque minuti di ritardo e ancora tanta, proprio tanta confusione in testa. Eppure ero più rilassata rispetto al giorno innanzi, e anche rispetto alle ore del mattino antecedenti la visita di mia figlia. Era come se quella sorta di mezzo incubo sgangherato cominciasse, con mio sollievo, a dissiparsi.

Grattugia non c’è.

Giubilo aveva capito a fondo tutta la situazione fin dalla sera del suo incontro con Grattugia, perché aveva un genero avvocato che, inutile dirlo, sapeva molte cose circa le gesta di quel manigoldo sebbene non ne conoscesse l’indirizzo; non solo: il mio apprezzato carrozziere aveva anche letto al mattino il quotidiano locale.

Mi dice, gentilmente, con tatto e con equilibrato senso delle circostanze oggettive: – auguri, Signora, ma temo che non debba farsi molte illusioni -. Cinque minuti dopo, parcheggiando davanti a me e a Giubilo che lo guardavamo sbigottiti, arriva Grattugia, sulla Lancia Thema scura, sozzerella e graffiata come la consanguinea. Grattugia scende con un pacchettino di banconote nuove in mano e lentamente conta il denaro davanti a noi, che seguitiamo a guardarlo attoniti, dissimulando a fatica lo stupore. Mi chiede di restituirgli la dichiarazione in cui lui si assume la responsabilità del sinistro e soprattutto il codice fiscale. Li ho dimenticati a casa mia, proprio dimenticati, lo giuro (certo, Freud ci ricamerebbe un po’ su ipotizzando che forse che non si trattava di dimenticanza vera e propria). Prometto a Grattugia di inviargli il malloppo per posta. Lui mi dà il suo indirizzo.

– Questo è veramente l’indirizzo al quale lei abita? – mi esce dalle viscere, contro le ragioni dell’intelligenza e del buon senso.

– Certo che è l’indirizzo al quale abito, cosa pensava? -. È seccato.

– Pensavo che potesse eventualmente essere l’indirizzo del Suo ufficio. Mia autorizza a mandarLe il tutto per posta prioritaria? -.

– Senta Signora, facciamo così, entro due o tre giorni porti qua la dichiarazione e il C. F. e io passerò a ritirarli giovedì o venerdì. Le va bene? -.

– A esser proprio sinceri mi andrebbe meglio se non ci stessi rimettendo duecento “euri”. In ogni caso entro domani lascerò qui i Suoi, diciamo, documenti -.

Decido di cautelarmi; prima di restituire al Grattugia, attraverso il Sig. Giubilo, la tessera C.F e la dichiarazione d’assunzione di responsabilità che egli mi ha rilasciato faccio una fotocopia di entrambi i documenti. Anzi, della dichiarazione faccio due fotocopie e le porto in Comune per farle autenticare. Così sarò in una botte di ferro.

– Avrei bisogno, per favore, di due copie autenticate di questa dichiarazione -.

– A che cosa le servono? – chiede l’impiegata comunale.

– Diciamo per motivi legali, perché si tratta di una assunzione di responsabilità di danno in sede civile e devo consegnare l’originale al mio avvocato -.

– Allora, – dice l’impiegata – ognuna delle due autentiche costa 15 euro -.

Rimango sempre trasecolata dalla straordinaria capacità dello stato italiano di spremere denaro agli onesti cittadini inermi. Ma insomma, Grattugia mi è già costato (se va bene) duecento euro; buttarne via a causa sua altri 30 sarebbe masochismo puro. – Guardi, va bene anche una autenticazione per ragioni commerciali -.

L’impiegata con cui ho a che fare e il collega che le sta seduto accanto si scambiano un’occhiata, perché, suppongo, temono ch’io manifesti le tipiche reazioni indignate del cittadino medio spennato e spolpato: – Signora, anche due autentiche per motivi commerciali costano 30 euro -.

Sì, sono un po’ esasperata, ma in fondo è giusto che la vicenda Grattugia abbia un finale ilare. – Guardi, – dico all’impiegata – le due autentiche della dichiarazione mi servono in verità precipuamente a fini sanitari -. La signora e il suo collega si scambiano un’occhiata sbigottita, ma non osano controbattere. Le copie della dichiarazione di Grattugia autenticate per fini sanitari mi sono costate euro 0,50 ciascuna.

Ho onorato il mio impegno. Poi, quando alcuni giorni dopo sono andata a riprendermi la macchina tedesca tornata come nuova, il carrozziere mi ha detto che il gaglioffo si era presentato puntualmente per ritirare i propri documenti. Giubilo mi ha chiesto con una certa esitazione se i denari portati da Grattugia  fossero buoni. – Non lo so – rispondo. –Posso dire per certo solo che la banca li ha incamerati senza fare difficoltà -.

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