Bibi riceve un consiglio e poi una richiesta: i concorsi universitari, che passione!!!

Dal momento in cui ebbi un po’ più di 600 pagine a stampa, tra le quali una monografia corposa, cominciai a presentare sistematicamente domanda per diventare o associata o, meglio ancora, ordinaria, in una materia tra quelle riconducibili alla letteratura italiana. Presentai domanda ai concorsi universitari nazionali finché furono essi i canali di reclutamento dei docenti; poi, quando giunse il provvedimento per cui i concorsi universitari nazionali venivano sostituiti da procedure di comparazione valutativa, pardon, di valutazione comparativa locale, indette dalle singole sedi universitarie, presentai numerose domande sia per posti di prima che di seconda fascia vuoi quando ancora venivano espressi un vincitore e due idonei vuoi quando venne poi espresso un vincitore e un solo idoneo. Sprecavo tanto tempo e tanto denaro nel compilare domande; nel mettere insieme fasci di documenti attestanti la mia immensa ganzaggine; nel mettere in ordine quintali di fotocopie dei miei titoli scientifici; nel preparare pacchi  dalla mole (e dal costo postale) terrificante, contenenti una copia di ciascuno dei titoli. E spedivo i pacchi sia all’ufficio reclutamento delle sedi che avevano bandito le procedure, cioè i  concorsi universitari secondo i nuovi criteri, sia, successivamente, ai singoli commissari, che potevano essere anche nove. Perché lo facevo? Con me stessa fingevo di essere animata da questa “filosofia”: se non presento nessuna domanda, tutti saranno felicissimi e urleranno a gran voce che io mi autoescludo, per codardia e disistima di me stessa, mascherate dal pretesto che senza l’appoggio del sistema ‘clientelismo & corruzione’, non si combina nulla. Se invece presento le domande, ancorché tutti mi dicano che non vi è la minima speranza di successo, si capirà che sono personalmente motivata alla carriera e che mi illudo di farla in maniera onesta; e posso sperare di cogliere, perfino, qualche assai remota opportunità. Supponiamo infatti che il vincitore e gli idonei prestabiliti, in favore dei quali è stata selezionata la commissione, si trovino tutti a volare sul medesimo aereo prima del concorso e che l’aereo cada e che tutti i passeggeri si salvino e che malauguratamente solo i partecipanti alla mia valutazione comparativa – oh quale terribile sciagura! – muoiano. Se questa remota eventualità si verificasse io diventerei probabile vincitrice o idonea, giacché sempre alle procedure arrivano poche domande spesso esclusivamente quelle del vincitore e degli idonei pre-designati. Tutti i colleghi interni al sistema della corruzione e i loro capi sono infatti ricattabili, per cui i colleghi vengono sistematicamente diffidati dal presentare domanda alle procedure che non siano quella costruita apposta per loro.

Qualche volta, per varie ragioni, sempre vagliate da me con l’aiuto dei miei familiari e dei miei migliori amici, anche interni all’”accademia”, mi sono recata all’orale di alcuni concorsi nazionali e poi di procedure di comparazione valutativa (o valutazione comparativa ? …). Le prime due volte ho dato di ciò formale comunicazione al Direttore del Dipartimento e ai superiori in grado. Invariabilmente è allora accaduto che qualche innominabile del mio Dip e della mia materia mi chiedesse di ritirarmi dalla competizione, perché così aveva chiesto il modesto boss che aveva fatto bandire il posto. Mi veniva assicurato che se fossi stata ragionevole ed equilibrata, se cioè mi fossi ritirata, prima o poi sarebbe arrivato il mio turno. Raccontavo ciò a mia madre e ai miei fratelli. I fratelli mi raccomandavano di non ritirarmi ma mia madre fu colta da attacchi d’angoscia (da figlia di rettore aveva conosciuto a fondo fin dall’infanzia la corruzione universitaria e il suo carattere violento e intimidatorio): «Ritirati, ritirati, quelli sono capaci di tutto! Subirai violenze morali e prevaricazioni di ogni genere! Non ce la faccio a saperti così inguaiata, ritirati se vuoi che di notte riusciamo a dormire». E così un paio di volte mi ritirai, per appurare poi che coloro che me lo avevano chiesto, con tanta melliflua gentilezza, negavano recisamente di avermi mai chiesto ciò.

Così non detti più retta alla mamma. La coscienza e il radicato senso della giustizia mi imponevano di non cedere. Tenevo sul comodino la fotografia che ritrae insieme, sorridenti, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e pensavo spesso anche a tutti gli altri: Chinnici, Cassarà, Basile, Ciaccio Montalto, D’Aleo, Livatino, e tutti gli altri, spesso privi di scorta; sentivo che dovevo stare sul solco del loro insegnamento; così facendo contribuivo a non rendere vana la loro morte.

Bastava dunque che gli innominabili delle altre università si informassero superficialmente su di me, per tentare di farmi ritirare, e apprendevano: che io appartenevo alla categoria di coloro che nulla avevano da perdere; che pertanto, onde farmi desistere dal partecipare al “concorso”, occorreva minacciarmi come minimo di ammazzare la mia bambina; che tra i miei migliori amici c’era un magistrato dall’altissimo profilo professionale e morale. Nessuno di loro, dentro e fuori del mio Dip, si sentiva di giurare (e in ciò mi sopravvalutavano, con tristezza devo ammetterlo) che – qualora avessi subito intimidazioni – non mi sarei affrettata a presentare denuncia alla Procura della Repubblica.

Andando a sostenere le prove orali di questi concorsi universitari  abbassati (non che i primi volassero alto!!) a procedure di valutazione spesi un sacco di soldi di viaggio, albergo e altro ancora, ma ebbi modo altresì di vedere belle regioni e belle città che mai avevo visitato prima. Esiste oggi il turismo gastronomico, quello enologico, quello sessuale, quello religioso; io avevo inaugurato il turismo concorsuale. Ricordo che nell’anno 1998 presentai quattro domande di valutazione comparativa, per materie tra loro affini: a Sulmona, a Santa Maria di Leuca, a Marostica, ad Alghero. A Sulmona una Facoltà di Lettere aveva indetto la procedura per un posto di seconda fascia nel settore scientifico-disciplinare aβγδ – Esegesi del chiacchierare assolutamente a vanvera; la procedura indetta dall’Università degli Studi di Alghero con decreto rettorale del 15 novembre 2003 pubblicato sulla GU del 15 dicembre 1997 era invece inerente al settore scientifico-disciplinare WXYZ – Tentativo di imparare l’alfabeto, e il posto era colà bandito presso la Facoltà di Scienze delle cose inutili.

Decisi di puntare tutto sul concorso di Alghero, perché in commissione c’erano diversi tipi ai quali in passato avevo mandato miei lavori ricevendone per iscritto giudizi molto benevoli, e attendevo la convocazione con ansia quasi speranzosa.

Un giorno, a fine gennaio 2004, in modo del tutto inaspettato, un innominabile del mio Dipartimento, “allievo” del capo-cosca Fiordaliso, mi consigliò vivamente di presentarmi alla imminente prova orale della valutazione comparativa (o comparazione valutativa ? ….) indetta dalla Università di Sulmona, che si sarebbe svolta due giorni dopo quella di Alghero. A quel tempo non avevo ancora imparato a evitare di incontrare gli innominabili e sapevo bene che, se non avessi seguito il consiglio da uno di loro ormai formalmente pronunziato, ufficialmente in mio favore, mi sarebbero piovute sul capo ritorsioni e cattiverie, dall’innominabile che si era fatto mio “buon consigliere” astutamente giustificabili e giustificate. Mi pareva quasi di sentirlo, mentre parlava ai colleghi raccontando loro del mio (solo vagheggiato) rifiuto di presentarmi agli orali di quella precisa valutazione comparativa, che erano troppo a ridosso di quella su cui avevo deciso di puntare: «Bibi se ne sta arroccata in una sterile posizione di compiaciuto vittimismo, è una persona superba, cieca e aggressiva; è completamente priva di tatto e di buon senso; se si cerca di darle un consiglio utile per lo sviluppo della sua carriera, non lo segue, pretende di fare di testa sua combinando un sacco di pasticci, e poi recrimina di qua e di là, come se i guai non fosse andata a cercarseli lei, con il lumicino». Adesso ho imparato l’arte di schivare gli innominabili quando sono da sola: adopero ingressi di servizio, ricevo gli studenti non in Dipartimento ma in un’auletta piccola della Facoltà, fisso i miei impegni negli orari in cui gli innominabili fanno almeno la pausa panino-caffè, oppure li fisso a sera tarda ecc. ecc. Così non potei andare ad Alghero e dovetti ripiegare su Sulmona. Ma perché l’innominabile voleva mandarmi a fare la valutazione comparativa, vi chiederete voi, tanto più che egli medesimo sapeva che non c’era speranza alcuna né ch’io risultassi vincitrice né ch’io pigliassi l’idoneità, e ciò egli medesimo mi aveva rappresentato apertamente?

CONTINUA

Era Presidente della commissione esaminatrice un innominabile dei più maneggioni, credo massone, il quale in tutta la sua vita (era poco più che cinquantenne) aveva scritto solo qualche opuscolo di infimo livello. Era ordinario da almeno 20 anni; lo aveva messo in cattedra un ormai defunto (ma da vivo a sua volta potente) barone gay, il quale si era per certo appassionatamente innamorato del giovane, diciamo, “allievo”. C’era chi diceva che questi fosse stato amasio a tutti gli effetti del maestro, e chi diceva, invece, che l’ex allievo forse era riuscito a barcamenarsi, ottenendo una relazione in cui la reciproca conoscenza non fosse biblicamente compiuta in ogni sua parte. Sicuro era soltanto che gli schizzi di fango del concorso anzidetto erano giunti fino alla Facoltà dov’ero stata studentessa universitaria, geograficamente lontanissima dall’Università dei due amanti, e che perfino io giovinetta avevo allora sentito parlare della cosa da seriosi professori ormai vegliardi, non pettegoli, innamorati della scienza e per questo appunto scandalizzati e indignati dalla conduzione e dall’esito di quel concorso nazionale. In ogni modo mi recai in tutte le migliori biblioteche, universitarie e non, della regione in cui l’ex amasio, ora presidente della mia commissione in Sulmona, era attualmente docente (e di livello gerarchicamente assai elevato), alla ricerca di suoi scritti. La sola cosa che, dopo averci sudato tempo ed energie, mi riuscì di trovare fu un fascicoletto divulgativo di poche pagine che aveva tutta l’aria d’essere stato estratto da dispense universitarie compilate mediante gli appunti degli studenti.

Non ho ancora spiegato per quali ragioni l’innominabile del mio Dipartimento voleva mandarmi a fare la comparazione , pardon, la valutazione comparativa a Sulmona. Enuncio anzitutto le ragioni ufficiali, sottoscritte in quel preciso momento da tutti gli innominabili afferenti al ventaglio di materie del mio settore disciplinare e diretti colleghi, ovviamente, di quello che aveva assunto il ruolo di mio consigliere:

Il Dipartimento aveva deciso di sanare tutti i casi dei non protetti (udite, udite!! gli innominabili non usavano la formula “non protetti”, ma il senso era questo) che avessero i titoli per meritare il passaggio alle fasce superiori. Pertanto era utile che io mi facessi vedere un po’ in giro per il Belpaese dagli innominabili delle altre Università, talché si sapesse che io stavo per essere “sanata”: come dire che in una ventura comparazione valutativa, pardon, valutazione comparativa, si sarebbe cercato di infilare in commissione due persone che dovevano “convincere” la maggior parte dei membri a votare in favore della dichiarazione di idoneità per me.

Le vere ragioni che inducevano a mandarmi allo sbaraglio erano ovviamente altre: presto sarebbe avvenuta in Dipartimento l’elezione del Direttore. Il Direttore uscente, persona scientificamente modestissima, aveva molti e potenti nemici, a causa della sua personalità distruttiva e paranoide; nondimeno bramava, ardentemente concupiva, d’essere rieletto. Gli avevano perciò consigliato, i pochi colleghi su cui poteva contare, di convocare i ricercatori e gli associati non protetti, da lui sempre, in ogni modo e con i mezzi più vili ostacolati e “mazziati” (bastonati, per chi non sa le lingue), per dir loro che, grazie alle sue eloquenti perorazioni, i colleghi del Dipartimento avevano constatato e ammesso la necessità di favorire il passaggio dei non protetti alle fasce superiori. Anch’io fui infatti in quel giro di settimane convocata all’uopo dal Direttore, al quale non bastò il cuore di chiedermi il voto apertamente, e ciò sia detto a suo onore. Conseguentemente, i nemici aspri del Direttore, tra i quali il mio “consigliere” e il suo boss Fiordaliso, dovevano adottare strategia analoga, per conseguire, com’è ovvio, l’effetto opposto: quello – facendo mostra di volere aiutare i non protetti – di guadagnarsi la loro riconoscenza e il voto contro il Direttore alle elezioni.

Se questa era la principale tra le ragioni che avevano spinto l’innominabile a consigliarmi di andare a Sulmona, almeno un’altra a essa si sommava: io ero ottima amica di un barone rampante in organico presso un Ateneo corregionale del nostro, una persona che aveva fama di mantenere sempre le sue promesse. Questi aveva da aiutare nella carriera quelli di casa sua, e io oltretutto non ero della sua materia; alla sua materia afferivano però diversi giovani allievi del Fiordaliso. Era risaputo che il mio amico barone rampante sarebbe stato contento di vedermi far carriera. Pertanto, avvalendosi come tramite dell’innominabile divenuto mio consigliere, Fiordaliso si era preliminarmente informato se il barone rampante mio amico ammetteva di contrarre debito di concreta gratitudine nei confronti di chi mi aiuterebbe. Il mio amico aveva risposto affermativamente, aggiungendovi la promessa che avrebbe onorato i debiti (ma quali debiti, santo cielo?).

Eccomi incastrata. Fui convocata con un mese quasi di anticipo, come prevedeva la legge, sia alla prova orale da tenersi ad Alghero che a quella di Sulmona: una lezione da preparare con 24 ore di anticipo su una traccia scelta da me fra le tre da me estratte a sorte dalle cinque che i commissari avevano preparate. Durante le ultime due settimane antecedenti la prova feci preparativi faraonici. Chiesi aiuto a numerosi amici personali, dottorandi (io non sono una che debba esaminare i dottorandi), colleghi gentili e rispettabili e perfino, spudoratamente, colleghi allievi della “Sono una Frustrata perché so bene d’essere la Quintessenza della Mediocrità più Mediocre”, di Fiordaliso e di Biancaspina. I colleghi e io saccheggiammo le biblioteche di tutta la regione, prendendo in prestito i volumi per un mese. Furono così rastrellati una gran quantità di libri inerenti alla materia oggetto dell’esame. Partii alla volta di Sulmona con l’automobile stipata all’inverosimile di casse di libri.

Mi ero data molto da fare anche per cercare a Sulmona un giovane possibilmente neolaureato e di provata levatura culturale il quale accettasse di farmi da basista a partire dal momento in cui fossi entrata in possesso del titolo della mia lezione. Poniamo che i libri che mi ero portata non fossero esaurienti per preparare, sia pure in una notte soltanto, l’argomento prescelto. Compito del basista sarebbe stato quello di recarsi nelle biblioteche (e, se necessario, nelle librerie) di Sulmona per trarne il materiale mancante, fotocopiarlo o farselo prestare, e portarmelo in albergo. La ricerca del basista fu portata a termine nel più felice dei modi grazie a una mia amica nativa di Sulmona e colà residente, valorosa insegnante di italiano alle scuole superiori, la quale mi mise in contatto con un suo giovane specializzato SIS (SIS era la scuola abilitante all’insegnamento). Questi era ora dottorando di ricerca proprio nella Facoltà da cui era stato bandito il concorso. Telefonai, entro la settimana antecedente la mia partenza per Sulmona, a tutti i miei migliori amici docenti, ricercatori e cultori delle mie materie nelle Università del Belpaese. Tutti mi promisero che all’ora in cui mi fosse stato dato il titolo della lezione si sarebbero tenuti per me telefonicamente reperibili e mi avrebbero aiutato in ogni possibile maniera: soprattutto nella preparazione della scaletta (della selezione, concatenazione e sviluppo dei contenuti da inserire nella trattazione) e della bibliografia. Avevo prenotato una camera molto ampia (doveva contenere senza difficoltà dodici casse di libri) in un albergo del centro di Sulmona, dotato di garage e abbastanza vicino alla sede in cui dovevano aver luogo le prove orali del concorso. Dico la verità: arrivai al giorno precedente quello della partenza che ero già sfinita e vittima di feroci attacchi di insonnia.

Proprio la mattina del giorno antecedente la partenza ricevo una chiamata al cellulare. Una tizia si qualifica come segretaria del Preside della Facoltà di lettere di Santa Maria di Leuca prof. Nusaccio (perbacco, ma il mio concorso non è a Sulmona? È vero però che io sono un po’ sorda oltre che sovraffaticata dai preparativi. Avrò capito male). Vengo messa in comunicazione telefonica con un tizio. Cortesemente ribadisce d’essere il preside Nusaccio di Santa Maria di Leuca (allora stavolta la sordità non c’entra. In effetti nella mia commissione di Sulmona vi sono due associati di Santa Maria di Leuca: vuoi vedere che ora Nusaccio mi dice che Santa Maria di Leuca presenta a Sulmona un candidato “fortissimo”, un Einstein della filologia e critica letteraria e pertanto nel mio interesse esclusivo, per evitarmi l’umiliazione di essere schiacciata da cotanto senno, Nusaccio mi consiglierà di ritirarmi dalla valutazione di Sulmona? Mio Dio, ho la ideorrea … sto cominciando a ragionare come loro … e ho paura di loro, tanta).

CONTINUA

Nusaccio, invece, mi dice che gli uffici di Santa Maria di Leuca, per non so che disguido, hanno inviato ai candidati alla comparazione valutativa la convocazione alla prova orale senza tener conto che per legge i candidati devono riceverla con almeno 25 giorni di anticipo. Ma di che diavolo stiamo parlando? Io il concorso ce l’ho a Sulmona tra 3 giorni. Cortesemente ma con fermezza Nusaccio mi chiede di mandargli una rinunzia scritta al diritto di essere preavvisata con un minimo di 25 giorni di anticipo. Io gli dico – Sì certo Signor preside -. Chiusa la telefonata. Testa confusa. Vado a controllare. È in effetti una delle comparazioni per le quali ho presentato domanda. Che faccio, ma possibile che gli innominabili abbiano tanto tempo libero da cercare di tappare le falle degli amministrativi? Chiedo consiglio all’unico tra i miei colleghi che considero assolutamente perbene e ad Arcangelo, il fratello gemello della mia amica Lilli, il magistrato che occupava un posto importante nella mia vita. Entrambi mi dicono che l’errore sicuramente lo ha fatto Nusaccio. Essendo egli sicurissimo che nessun altro avrebbe osato presentarsi alla “sua” valutazione oltre al vincitore in pectore, il suo protetto, e ai due idonei protetti dagli altri due ordinari della commissione, Nusaccio aveva certamente deciso di sbrigarsi; e aveva così fissato i biglietti aerei e le camere d’albergo dei commissari in corrispondenza a una data della prova assai anteriore ai 25 giorni di preavviso. Sia il magistrato sia l’amico onestissimo mi dicono che chi ha mentalità corrotta e clientelare non farebbe cortesie come quella di cui sono stata richiesta senza che vi sia immediatamente il contraccambio della medesime. Chi, semplicemente, è perbene, vuole che le cose avvengano con trasparenza pura.

Arcangelo, il magistrato, e anche il collega dalla coscienza morale limpida, mi suggeriscono di inviare al Preside di Santa Maria di Leuca la rinunzia da lui desiderata solo dopo che lui mi avrà messo per iscritto la sua richiesta. Lo scopo è di creare una traccia concreta, una prova, che io ho fatto una bella cortesia ai Leuchesi e che perciò, dal momento in cui gliel’avrò fatta, loro saranno in debito con me (non che ciò serva a niente, sia chiaro, ma almeno serve a non fare la figura dei fessi e forse a evitare che alla ventura prova io venga fatta a pezzettini). Aggiungiamo che pochissimi giorni dopo essere rientrata a casa mia, distrutta, da Sulmona dovrò ripartire immediatamente per Santa Maria di Leuca. Ma potrò portarmi le 12 casse di libri, perché il prestito non sarà ancora scaduto! Invio di sabato a Nusaccio per posta celere un biglietto nel quale, molto cortesemente, lo invito a spedirmi a Sulmona, presso l’albergo in cui andrò a risiedere, un telegramma o un fax ove mi si domanda, in modo burocraticamente neutrale, se io intendo o se invece non intendo avvalermi del diritto ai venticinque giorni di preavviso.

Finalmente domenica mattina, 1 febbraio, l’automobile stipata di libri all’inverosimile, parto alla volta di Sulmona, ove giungo in serata. Nel mio albergo quell’arrivo rimase per sempre impresso nella memoria di tutti. Tre facchini – fu questo l’evento memorabile –, lavorarono più di un’ora per scaricare la mia automobile: più che un trasloco. Lunedì mattina faccio conoscenza con il basista procurato dalla mia amica Bianca. È davvero un giovane comme il faut, molto sveglio, concreto ed efficiente. La discussione dei titoli, prima parte della prova orale, si sarebbe svolta martedì alle 16, subito dopo il sorteggio-scelta del titolo della lezione. Chiedo al dottorando di tenersi a disposizione per tre mezze giornate (martedì pomeriggio e mercoledì mattina e pomeriggio) e gli assicuro che, come gli avevo promesso per telefono, gli corrisponderò un compenso pari a 200,00 €. Il giovane mi propone di accompagnarmi quel lunedì pomeriggio e, se necessario, anche al martedì mattina, nelle due più fornite biblioteche della città, affinché mi possa formare un’opinione personale sul patrimonio librario di mio interesse da quelle posseduto.

Pranzo con Bianca, la quale palesemente fa di tutto per distrarmi dal pensiero dell’esame, affinché io mi rilassi. Poi lei mi accompagna a vedere la villa di proprietà della univ in cui si terrà la mia prova. È un bel posto, curato, signorile. Bianca mi riaccompagna all’albergo, mi abbraccia a lungo e ci separiamo.

Spengo il cellulare e sto per addormentarmi quando mi chiamano dalla hall e mi pregano di scendere; c’è al telefono la segretaria di Nusaccio, la quale ha chiesto di me. Il professore e preside lamenta di non aver ricevuto la mia rinunzia. – Perbacco -, replico, – ma se gli ho scritto per posta celere al suo indirizzo privato! Sono io che mi trovo in attesa del suo fax. Mi lasciate in pace?  Sono a Sulmona per una comparazione valutativa e ho bisogno di calma e di concentrazione! Esercito un mio diritto, non le pare, giacché non vi conosco, se vi chiedo di lasciarmi tranquilla almeno per i prossimi due giorni !? Dica al Preside Nusaccio di mandarmi il fax! – Macché, quella insiste ed è adiratissima: dice con voce alterata che tutti gli altri candidati hanno già inviato la loro rinunzia senza tante storie, mentre io sono inadempiente. – Sfido io – penso tra me, – quelli sanno già di essere un vincitore e due idonei -. Arriva il carissimo dottorando, e la scocciatrice che mi ha impedito di riposare sta ancora blaterando. Chiudo la telefonata come se fosse caduta la linea e, tenendo in mano la cornetta senza riagganciare, prego gli impiegati di passarmi, da quel momento in poi, solo telefonate della facoltò di Sulmona, della mia amica Bianca e del dottorando.

Esco con il mio basista e per diverse ore lavoriamo sodo. Grazie a lui mi formo un’idea sufficientemente precisa della diversa vocazione delle due biblioteche: l’una è di tipo conservativo, ricca di libri e materiali rari; nell’altra si trovano edizioni recenti di opere d’ogni genere. Faccio delle richieste di avere hic et nunc libri in consultazione al sol fine di rendermi conto del tempo che il servizio di consultazione impiega a fornire l’opera desiderata; tuttavia spero che sarà il mio basista a fare questo lavoro, senza bisogno di essere da me coadiuvato.

Quella sera decido di procurarmi un riposo vero, per arrivare in piena forma alla prima parte dell’esame orale all’indomani pomeriggio. Spengo il cellulare, prendo la melatonina e punto la sveglia alle 9.15 del mattino. Alle 7.00, squilla inesorabile in camera mia il telefono dell’albergo, strappandomi con violenza al sonno profondo e ristoratore. È il Cupidini, del mio Dip., tra i vincitori-scandalo (certo, il suo boss era in commissione) di un concorso nazionale al quale furono bocciati diversi candidati più che decenti. Egli ha girato da ordinario diverse sedi perché i nemici del suo boss non gli hanno permesso di rientrare nella sua sede di provenienza. Nusaccio gli ha telefonato esternandogli quanto cattiva e poco comprensiva io sia e chiedendogli di ricondurmi alla saggezza e alla buona creanza. Per esser certo di parlarmi Cupidini si è spacciato con quelli della hall per mio fratello, che ha da darmi una comunicazione urgente. Lo ucciderei: ma possibile che debbano immischiarsi in ogni scemenza??!! E lo sa che sono a Sulmona sotto iperstress!! – Ma insomma – dico, mentre gli parlo in pigiama e vestaglia dalla hall – ho solo pregato Nusaccio, su consiglio di un carissimo amico magistrato, che metta per iscritto in una forma del tutto legale la sua richiesta: non corre alcun rischio se usa la forma che ha suggerito il magistrato – . Il Cupidini arretra (telefonicamente) quasi terrorizzato. – Ah, no, se c’è di mezzo un magistrato io non voglio entrarci in questa faccenda ! – Quel che si dice un cuor di leone, non vi pare?

Il trafficone mediocre del mio Dip rubandomi le preziose ore di sonno mattutino aveva fatto sì che mi sentissi uno straccio. Ciò mi procurava ansia: come vado alla prova orale di oggi con mente lucida e serena? Va bene, gli innominabili come sempre avevano vinto. Meglio chiudere la faccenda Nusaccio dandogli quel che vuole affinché smetta di perseguitarmi. Vado a vestirmi e prima di fare colazione mi reco nella hall a dettare un breve testo da mandare o per fax o per telegramma alla Presidenza della Fac Lettere di Santa Maria di Leuca. Improvviso il testo senza starci a pensare troppo: “Io sottoscritta B…B…su cortese suggerimento del prof. Rocco Nusaccio rinunzio ad avvalermi del mio diritto al formale preavviso di 25 giorni inerente alla prova orale della comparazione valutativa a n. 1 posti da prof. ordinario indetta da codesto ateneo di Santa Maria di Leuca per il settore scientifico-disciplinare aβγδ – Esegesi del chiacchierare assolutamente a vanvera“. Rileggo attentamente quei pochi righi. Cancello l’espressione ‘comparazione valutativa’ e la sostituisco con ‘valutazione comparativa’ e consegno il testo da telegrafare all’impiegata. Poi risalgo in camera a studiare. Un’ora più tardi mi chiamano dalla Hall per dirmi che la posta aveva già recapitato all’albergo la copia del telegramma che spetta al mittente. Accettai volentieri che me la portassero in camera.

CONTINUAZIONE E FINE

La perdita delle preziose ore di sonno mattutine mi aveva messo addosso l’umor tetro. La valutazione / comparazione andò come doveva andare: i commissari avevano dato una occhiatina molto superficiale alle mie pubblicazioni e quindi la discussione sui titoli si ridusse a qualche domanda ricavata dal mio curriculum, cui risposi lucidamente ma in modo sfiduciato. Le tracce per la lezione erano di normale difficoltà e ne scelsi una di normale difficoltà che recitava pressappoco De omnibus rebus et de quibusdam aliis. Nessuno dei miei amici universitari strutturati fu in grado di darmi una mano per la scaletta, ma almeno le dodici casse di libri furono sufficienti. I commissari mi lasciarono parlare in modo tranquillo. Sfiduciata com’ero sbagliai però nel calibrare, accordando troppo tempo alle prime due articolazioni del mio discorso. Per non sforare i 45 minuti dovetti sintetizzare eccessivamente la terza e ultima articolazione e le conclusioni.

Le valutazioni furono pubblicate on line pochi giorni dopo. Erano accorpabili secondo l’orientamento politico dei commissari. I commissari di provenienza marxista avevano espresso su di me pareri freddini, non senza tentare, chiaramente d’intesa, un’analisi psicologica della mia personalità, definita “spigolosa” e tendente all’isolamento. Avevo in effetti scritto in lavori d’indole politica e storico-letteraria al contempo che i regimi comunisti, caratterizzati dalla subordinazione dello stato al partito, si erano fondati sulla istituzionalizzazione del terrore di massa e sul ricorso sistematico alla violenza, fino al genocidio, nei confronti degli oppositori disarmati; e avevo ricordato che si contavano parecchi milioni di vittime accertate. I giudizi dei commissari non marxisti – e tra essi del presidente – erano invece assai più benevoli. Il presidente si mangiò tutto: il posto del vincitore e le due idoneità. Il basista non accettò da me nemmeno una lira e resistette a tutte le mie proteste, ora vibrate ora accorate.

Ero tanto stanca, tanto. Ma non avevo il tempo di riposare un poco. Giovedì guidai tutto il giorno fino a casa perché venerdì ero in commissione d’esame. Guidando mi interrogavo circa la possibilità di mandare una rinunzia formale a Santa Maria di Leuca. Ero ben certa ormai di non poterci andare: non mi bastavano le forze per riattraversare lo stivale intero due giorni dopo il rientro a casa. Forse potevo risparmiarmi la seccatura di inviare il telegramma di rinunzia a Santa Maria di Leuca. Nusaccio e il Cupidini, l’intrigante scemo del mio Dip arrapatosi all’idea che il collega “potente” e scientificamente stimato gli avesse chiesto in modo pressante un favore, quei due mi avevano scocciata talmente da non meritare che io tenessi un comportamento ineccepibilmente beneducato nei loro confronti. Arrivando a casa sapevo già che avrei mandato il telegramma cortese di rinunzia. Vado a prendere mia figlia, nell’appartamento di mia madre, sotto la mansarda in cui abitavamo noi. Mia madre, il volto rasserenato per il fatto che non farò la follia di ripartire tra due giorni, mi consegna la posta; c’è anche un telegramma proveniente dall’ufficio concorsi di Santa Maria di Leuca: mi si convoca alla prova orale della comparazione valutativa cui ero iscritta colà per le ore 14.30 (estrazione delle tracce e scelta di una di esse) del venticinquesimo giorno successivo alla ricezione del telegramma. Sono sbigottita, leggo, rileggo, leggo ancora due volte quelle parole : «ella convocata per mercoledì 03 marzo 1998 ore 15 in via Rocco Scotellaro inizio prova orale valutazione comparativa indetta da questa Facoltà con decreto … pubblicato sulla GU…». La prima reazione fu quella di sentire un’acuta nostalgia degli articoli e delle preposizioni articolate. Dunque Nusaccio aveva fatto spostare in avanti di quasi un mese la data della prova. Sinuosamente prese forma nella mia testa il dubbio che il telegramma da Sulmona nel quale accettavo di rinunziare al preavviso di 25 giorni avesse influito sulle decisioni del preside pugliese.

Vado a prendere la mia copia di quel telegramma e telefono ad Arcangelo. Egli era nel suo ufficio in tribunale e scriveva sentenze. Con voce quasi tremante gli chiedo se può darmi qualche illuminante spiegazione. Anzitutto egli si fa leggere la copia del telegramma recapitato a casa mia il giorno innanzi: «Mia cara, è fuor di dubbio che il tuo preside di Santa Maria di Leuca ha cambiato idea e ha deciso di adempiere agli obblighi di legge. Ma perché ritieni di aver contribuito a questo suo mutamento di parere? Mi avevi detto che avevi ceduto, che lo avevi accontentato mandandogli la rinunzia ad avvalerti del diritto ai venticinque giorni di preavviso tale e quale come la voleva lui». «Sì, Arcangelo, infatti è così; però, vedi, non ti ho raccontato che quando il modestissimo maneggione del mio Dip mi ha telefonato a Sulmona togliendomi dal sonno io gli ho detto la verità; e cioè che stavo seguendo stretti stretti i consigli di un magistrato esperto; e allora quello scocciatore si è spaventato molto e ha fatto non un passo soltanto ma molti chilometri all’indietro». «Bibi, abbi pazienza, ciò non ha nulla a che vedere con le decisioni di Nusaccio, perché se tu gli hai mandato la rinunzia a esercitare i tuoi diritti nei termini in cui te l’ha chiesta lui, lui è in una botte di ferro; neppure lo sbirro più accanito potrebbe farci niente». «Ecco, Arcangelo, comincio ad avere il dubbio che il telegramma spedito da Sulmona a Nusaccio non fosse formulato esattamente nella maniera da lui desiderata».

Lessi in maniera piana e scandita all’amico il testo di quel telegramma. Questi per alcuni istanti rimase senza fiato, quindi fu colto da un attacco di fou rire che durò diversi minuti. «Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Bibi!! Perciò in pratica gli hai scritto che rinunziavi ai venticinque giorni di preavviso perché te lo aveva chiesto lui, un boss vero, e a te era parso di non poter dire di no ! Ah Ah Ah Ah Ah! Gli hai quasi fatto venire un infarto! Quello tra le righe ha letto che tu lo stavi accusando gentilmente di avere usato nei tuoi confronti sistemi intimidatori, e forse di avere esercitato addirittura una sorta di concussione o di estorsione! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!».

«Arcangelo, ma cosa dici, io in quel telegramma ho scritto la pura verità! Perfino a quella mezza o un quarto di calzetta che risponde al nome di Cupidini, te l’ho appena raccontato, avevo detto che dopo avere ricevuto la prima telefonata di Nusaccio mi ero consultata con te, cioè con un magistrato competente, e che da te avevo ricevuto il consiglio di far mettere a Nusaccio per iscritto in modo neutro il testo che mi avevi sciorinato al telefono».

«Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Che vuoi dire? Che Cupidini si è impressionato perché ti eri rivolta a un magistrato e ha comunicato la propria apprensione a Nusaccio?».

«Beh, questo in effetti è più che possibile; Cupidini quando ha sentito che c’era di mezzo un magistrato si è subito ritratto, come dicevo; e quasi certamente, anzi senza il quasi, lo avrà detto a Nusaccio e anche Nusaccio si sarà preoccupato un po’».

«Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Dunque a questo mondo ci sono ancora dei deficienti che hanno paura dei magistrati! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Quando gli è arrivato il tuo telegramma il povero Nusaccio avrà pensato anzi che te lo avrò dettato qualche procuratore capo puro e duro! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Avrà fiutato l’odore di un avviso di garanzia o il tintinnio delle manette! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!».

Non avevo mai visto né sentito Arcangelo divertirsi così. «Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ma quanto sono stupidi e ignoranti tutti questi docenti universitari! Degli asini fatti e finiti! Il bello del resto è che tu potevi provare la veridicità dell’affermazione che hai formulato nel telegramma. Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Tu avevi la ricevuta di quel posta celere che avevi mandato a Nusaccio; e dai tabulati della Telecom sarebbe risultato che prima dell’invio di quel tuo posta celere egli ti aveva fatto chiamare al tuo cellulare dalla presidenza della sua facoltà. Questi sono reati più gravi, che ne so, della insurrezione armata contro i poteri dello stato. Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ma che cretini sono i tuoi innominabili! E queste bestie dovrebbero impartire una istruzione universitaria ai molto giovani! Per forza abbiamo il tasso di laureati più basso della UE! E per paura di una Bibi Alvobrandi hanno posticipato le prove orali, hanno disdetto i biglietti aerei dei “commissari”, quasi certamente con sperpero dei denari di noi contribuenti. Poveri Italiani onesti! E hanno messo in quarantena i tre candidati ai quali pareva già di avere l’ordinariato in tasca. Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!»

«Arcangelo, ma ora che faccio? Tu pensi che io debba sentirmi obbligata ad andare a quell’orale? Nusaccio mi triturerà».

«Infatti. No, Bibi, io penso che tu proprio non debba andarci a quell’orale; un paio di giorni prima della prova manda a Nusaccio e agli uffici del personale di Santa Maria di Leuca un telegramma gentilissimo in cui comunichi che un callo al piede ti rende impossibile la deambulazione. Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!»

L’ilarità così spontanea del mio amico mi rincuorò moltissimo e contribuì a ficcarmi in testa una idea birichina ma tanto seducente. A fine febbraio scrissi al “mio” direttore, il primate, l’uomo che costituiva la più flagrante smentita della tesi di ascendenza darwiniana secondo cui l’uomo deriva dalla scimmia: sì, perché egli era molto, proprio molto, meno evoluto della più primitiva delle scimmie sebbene fosse uno scimmione fisicamente. Il testo recitava così:

Illustre professore,

sono stata convocata a sostenere la prova orale di una comparazione valutativa a Santa Maria di Leuca per il giorno mercoledì 3 marzo (estrazione traccia lezione orale). Dovrò pertanto assentarmi da martedì 2 marzo incluso fino a venerdì 5 marzo incluso. Recupererò le due ore di esercitazione agli studenti concertando con loro la soluzione migliore ma non potrò prendere parte a nessuna delle riunioni di Dipartimento previste per quei giorni, non potrò essere a disposizione del prof. Scrugni per il suo appello e per gli esami di profitto, e non potrò ricevere gli studenti. Com’era mio dovere ho già comunicato a questi ultimi la cosa. Porgo le più sentite scuse e insieme a esse i migliori saluti

B  A

Rilessi, cancellai “comparazione valutativa” per immettere “valutazione comparativa” e venerdi 27 febbraio imbucai con le mie manine la lettera nella cassetta della posta del mancato primate. Costui si guardò bene dal pronunziare rimbrotto alcuno perché esercitavo un diritto a tutti garantito dalla legge. Mia figlia decise di non venire a sciare con me perché non voleva perdere giorni di scuola.

Sabato 28 febbraio partii allegrissima per le Dolomiti, con gli sci e tutta l’attrezzatura necessaria e andai a insediarmi nella “mia” (da molti anni) pensione ultrapanoramica dalla quale si dominava tutta la valle. Al tavolo dietro il mio consumava i pasti un altro single, Franco, un uomo bellissimo, e un provetto sciatore a quanto appresi dalle mie albergatrici e amiche. La scintilla scoccata quasi subito in capo a due giorni divenne una gran fiammata. Lunedì 1 marzo di buon mattino inviai agli uffici del personale di Santa Maria di Leuca il telegramma seguente:

Infortunio sciistico occorso ieri, con lesione del legamento ginocchio dx, microfratture a carico della rotula e gonfiore da copioso versamento del liquido sinoviale mi rende impossibile la deambulazione per una settimana. Con vivissimo rincrescimento rinunzio a presentarmi alla valutazione comparativa cui ero stata convocata. Distinti saluti. B  A

Franco e io godemmo indisturbati l’uno dell’altra, parlammo tanto, facemmo tantissime gite con gli sci da discesa sulla neve farinosa di piste impervie, attraversammo luoghi meravigliosi e fiabeschi, andammo la sera a teatro, al cinema, al palaghiaccio per assistere alle partite di hockey. Fu l’inizio di un grande amore, interrotto poco meno di tre anni dopo dalla morte di lui. Mi sentii schiantare dal dolore, ma permisi al tempo di compiere il suo lavoro. Nel mio cuore c’è ancora molto posto per lui, come per tutte le persone che ho amato. Non ho rimpianti, però; sono andata sempre avanti, senza accarezzare il passato.

THE   END

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