La Sicilia brucia ancora. Niente sembra fermare i piromani

Il fuoco, ancora fuoco in Sicilia

Primo ricordo

Da quando è stata istituita la forestale (o guardia forestale? o corpo forestale?) gli incendi si sono centuplicati. In coscienza non ricordo di essere mai fuggita con mia madre e con i miei fratelli, da bambina e da ragazza (55-40 anni or sono) a causa di incendi diventati pericolosamente vicini. La casa di famiglia di cui mia madre era comproprietaria stava e ancora sta (semidiroccata) su un poggio sopra Cefalù. Vi erano anche allora incendi: ricordo notti trascorse in bianco a monitorare alti muri di fiamme ancora lontane, in contatto telefonico (telefono fisso, non esistevano i cellulari) con i vicini più amici per decidere se era tempo di scappare. Da 30 anni o poco più il fuoco è la regola. Le distruzioni compiute da Cefalù fino al Pizzo S. Angelo e all’Osservatorio astronomico e nel territorio dei numerosi paesi delle Madonie sono state disastri apocalittici, ancorché i piromani (il fuoco è sempre stato appiccato in molti punti simultaneamente o quasi) abbiano avuto cura di lasciar passare i tre anni fatidici necessari affinché la macchia mediterranea si rigenerasse e venissero ripiantumati alberi giovani dove stanno o stavano gli scheletri neri di quelli annientati dal fuoco.

Non voglio scrivere l’ennesima storia di tragedie italiane. Preferisco parlare delle cose comiche accadute a me in occasione di incendi, compagni della mia vita di adulta e ormai quasi di anziana.

Un incendio apocalittico fu appiccato dalle parti di Termini Imerese-Campofelice circa 25 anni or sono, nella seconda metà di giugno. Il vento fortissimo lo portò in capo a 24 ore sulle serre (sui poggi) sopra Cefalù. Era giugno. Il mattino in cui l’incendio stava per arrivare dovevano venire i contadini a eseguire il taglio dell’erba a casa “mia” (ero lì da sola). Impavida anche se terrorizzata stavo lì ad aspettarli. Arrivarono, infatti, gridando: “Signura, signura, ancora cca sta llei? U foco arriva presto. Venimmo a pigghiarla cca ci dissero l’amici sui che llei un voleva iri”. “Carissimi, non me ne vado infatti. Oggi l’incendio arriverà qui di sicuro poiché l’erba è ancora alta. Brucerà tutto, forse anche la casa. Voglio stare qui e fare la vittima umana. Morirò soffocata dal fumo. Se ci sono dei morti forse la prevenzione antincendio verrà aumentata”. “Che prevenzione e prevenzione!!! Un ci nne ‘mporta nuddu a nuddu se Llei muore. Dei morti un ce nne ‘mporta, u capisce?”. Fui agguantata (gentilmente), costretta a salire sulla mia auto, nella quale a onor del vero avevo già messo computer e dischetti, e scortata fino a un posto di blocco della polizia, sullo stradale, più in alto di casa mia. I contadini mi accusarono agli agenti: ” Sta Signura un voleva ghirisene! Voleva stare a casa sua, ccu fuoco”. Gli agenti presero le mie generalità, mi intimarono di restare lì con loro e, soprattutto, di considerarmi sfollata, evacuata. Non dovevo più tornare a casa mia finché il fuoco non fosse stato domato. Alcune ore dopo mi permisero di scendere a Cefalù per rifugiarmi in casa di un mio parente. Desolata, con il permesso del parente, me ne andai a mare. Nuotai fino al largo, osservando il fuoco sulle serre e i Canadair che facevano la spola tentando di circoscrivere le fiamme. A un certo punto un Canadair ammarò a non più di 8 metri da me. Sicurissimamente il pilota non mi aveva vista. Riempitosi la pancia d’acqua tornò su. Caspita, allora era credibile la storia che raccontavano il prof. Talento e l’artista Bovarini, secondo cui tempo addietro, su un luogo madonitico reso nero dal fuoco, era stato trovato il corpo di un sommozzatore, nero esso pure e ischeletrito, con i resti della sua muta ecc. Avevo evitato per assai meno di 10 m. di fare la fine del sommozzatore. Qualcuno dalla protezione civile di Cefalù avvertì i piloti dei Canadair che avevano messo in pericolo la vita dei bagnanti capaci di nuotare e ordinò che andassero a riempirsi la pancia al largo del porto dei natanti grandi.

Quando tornai su, 18 ore dopo circa, trovai che il fuoco era entrato sì nella proprietà, bruciando i tubi dell’acqua (di gomma, allo scoperto) e diversi alberi, oltre alle sterpaglie, ma non aveva lambito la casa. Per parecchi giorni vissi poi come ai tempi di Abramo, senza corrente elettrica e tirando su l’acqua dal pozzo. Ma a questo ero avvezza. Da bambina ero vissuta lì senza corrente elettrica.

Secondo ricordo

E ancora. Rammento che in piena era berlusconiana divampò un altro incendio apocalittico, con focolai tra loro anche lontani. Ed eccomi stavolta a chiedere ragguagli più precisi ai contadini: “Ma perché, perché bruciano tutto, perché creano questo deserto, sapendo che possono morire non solo tantissime piante e tantissimi animali, del bosco e anche domestici, ma anche gli esseri umani?” “Fu che Totò Cuffaro avia promesso di criari altri 800 posti (credo) ppi forestali, ma ‘un putè mantiniri stà promessa”. E io: “Ma se sono in collera con Totò Cuffaro (all’epoca Presidente della regione autonoma) e vogliono vendicarsi di lui, perché non vanno a bruciare casa sua invece che bruciare la mia e quella di tanti che non c’entriamo niente?” E i contadini: “Ggià, si bruciassero casa sua [di Cuffaro] ppi ggionnalisti e ppu partito Totò Cuffaro parìa un eroe, vittima dda mmafia. Invece, se abbruciano le proprietà di cristiani a casaccio Totò Cuffaro perde voti e ppuru u su’ partito. Capace che un vene rieletto”.

Terzo ricordo

Un altro ricordo, di una quindicina di anni fa: proprio nel giorno in cui doveva arrivare a casa mia un’amica del Nord partita da Genova in nave dopo avere imbarcato la sua auto, venne appiccato un altro incendio tremendo. Ero nello sconforto. La mia amica di incendi non sapeva niente, ed era una persona tutt’altro che attrezzata per un simile evento. Secondo i nostri accordi mi recai davanti all’ingresso della bretella chella provinciale PE-ME, all’altezza di Santa Lucia, porta alle strade per Gratteri e per la contrada mia. Ci incontrammo senza difficoltà. Lei aveva già gli occhi dilatati dal terrore: “Ho sentito che c’è un incendio terribile”; risposi: “Mia cara, in effetti c’è un pochino di fuoco, ma non aver paura: da noi non arriverà e in ogni caso saremo prudentissime”. Cominciammo a salire, lei dietro, io che facevo strada. A un certo punto vidi un’auto scura davanti a me che procedeva lenta. Non ebbi il tempo di pensare a niente. Lo sportello lato guidatore venne aperto rapidamente e qualcosa fu gettato nella macchia mediterranea a monte. Divamparono immediatamente altre fiamme. Posso far solo supposizioni: o si trattò di un gattino alla cui coda era stato attaccato un panno acceso impregnato di materiale combustibile oppure fu buttata una vera e propria esca già accesa su siepi scelte antecedentemente. L’auto corse via veloce.

Non mi fermai, e la mia amica per fortuna non tentò alcuna mossa azzardata. Avvertii con il cell la protezione civile del nuovo focolaio. Arrivammo al grande incrocio di Prima Croce in cui la stradella si ricongiunge con lo stradale che sale da Cefalù lato Messina. Vidi mia sorella che correva di qua e di là senza costrutto. Pochi metri dopo di lei si alzava una muraglia di fiamme alte almeno 8-10 m. Fermai l’auto e così fece pure la mia amica. Scesi affannata: “Sorellina, che fai, le fiamme stanno avanzando da ogni parte! Dobbiamo andarcene da qui, presto! Presto!!”. In quella udii la voce tonante del nostro amico Angelo: “Bibi, Sira, via di qui, sta ritornando il Canadair”. Non facemmo in tempo a muoverci che il Canadair si abbassò fino a essere pochissimi (4? 5?) metri sopra le nostre teste ed emise il suo liquido spumoso. Lo emise in modo da “inondare” parecchi metri lungo la barriera di fuoco, ma al di qua delle fiamme, e fummo inondate anche noi, mia sorella e io. La mia amica era in preda al panico. Riuscii a gestirla. Per essere la sua prima esperienza si comportò bene davvero. Passammo la notte sugli scalini dell’enorme selciato antistante la Chiesa e il convento dei Padri francescani. Il fuoco poteva circondarci, perfino, ma non raggiungerci. Il fumo, chi lo sa?

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