Il bimbo che voleva credere in se stesso

Azzurra adorava il suo bambino. Desiderava tanto che diventasse una persona equilibrata. Equilibrato, sì, questa era la parola d’ordine, il faro dalla cui luce occorreva farsi guidare. Dunque si ripropose di evitare qualsiasi fastidioso culto dell’intelligenza e qualsiasi esaltazione sia della cultura sia dell’ambiziosa volontà di primeggiare. A lei e ai suoi fratelli erano stati imposti più che proposti come modelli i premi Nobel della fisica, della medicina, della letteratura. Quando lei aveva dovuto cominciare a vivere nella realtà reale tutto era andato male: non incontrava persone conformi a quei modelli, gli altri la consideravano un po’ esaltata, molti ammiravano sinceramente la sua intelligenza e la sua cultura, ma a che servivano senza gli appoggi in un Paese come l’Italia? Intanto era stata proprio sua madre, quella che non aveva voluto lavorare e che non aveva voluto fare nascere i figli negli USA, colei che massimamente aveva propugnato quei modelli.

Dunque il figlioletto non avrebbe patito quel senso di disadattamento o disagio relazionale. Lei doveva esser contenta se egli cresceva da “non proprio mediocre”, portando a casa la sufficienza e basta, e anche lui ne sarebbe stato contento, avendo l’approvazione della mamma. Certo, se poi avesse conseguito risultati un po’ superiori all’aurea mediocritas (modestia e moderazione) tanto meglio; soprattutto, doveva esserci, oltre alla religione dell’equilibrio, la religione del lavoro: solo il lavoro assicura dignità, a chi è sufficientemente in salute beninteso.

In seconda elementare il bimbo leggeva straordinariamente bene e aveva un ottimo vocabolario. Lei desiderava che provasse il piacere del bello, dell’arte. Avevano un teatrino con le marionette a casa oltre che una enorme collezione di peluches e bimbo con tata, bimbo con mamma, bimbo da solo inscenavano drammoni comici con i peluches e le marionette. L’ippopotamo rosa, un peluche enorme, era stato battezzato dal bimbo “Lady Thatcher”. Carlo Maria fin dai tre anni aveva ascoltato tante e tante splendide favole (dal mangianastri) lette da grandi attori. Era un bimbo buono, ragionevole e bene inserito in classe, una seconda elementare dalle suore salesiane. La mamma doveva firmare tante piccole verifiche che suor Clara faceva fare a scuola: Bene // benino // bravo // Sì: erano le valutazioni più ricorrenti. Non c’erano tanti errori, pareva ad Azzurra; erano lavoretti acerbi e disordinati, ma disordinatissima era sempre stata anche lei, che pure aveva ricevuto costantemente, alle medie, alle Superiori e all’Università voti strabilianti.

“Mamma”, chiedeva il bimbo “perché io ho bene, sì, benino?” “Tesoro”, rispondeva lei “tu sei un pochino disordinato, ma le cose le sai, le hai imparate, dunque va benissimo così, l’importante è avere la sufficienza”.

Un giorno il bimbo la guardò con espressione disperata “Mamma, Passerino non ha preso benino come me. Lui ha preso ECCELLENTE!”. Azzurra ne fu stupefatta. Capì che non aveva capito niente. Meno male che il bimbo aveva mantenuto la fiducia in lei e voleva che lei lo comprendesse. Il suo bambino non voleva essere equilibrato e basta, anzi stava soffrendo per il fatto che la mamma tentava di inculcargli il culto dell’aurea mediocritas. No! Egli voleva avere il diritto di emergere, se del caso voleva eccellere. E quei suoi occhioni disperati le stavano dicendo: “Io non voglio essere quello dei benino, non voglio essere quello che sa galleggiare e basta, NON VOGLIO ESSERE UN MEDIOCRE, voglio ottenere risultati importanti. Tu mi stai castrando, anche se non lo capisci. Se non mi aiuti tu, che hai il bagaglio necessario ad aiutarmi, e che sei mia madre, chi mai mi aiuterà, chi mi incoraggerà?”. Quando devi invertire la rotta di 180°: “Tesoro, in effetti tutti questi bene // benino ecc. non ti rispecchiano! Tu puoi fare infinitamente meglio, perché sei molto intelligente. Dunque devi impegnarti per ottenere risultati migliori e io ti aiuterò”. La gioia si dipinse, letteralmente, sul volto del piccolo, e venne a galla anche una espressione di fierezza e di sfida. Che meraviglia!