Principale indiretta responsabile dello strazio della Ucraina a opera di Putin è l’Europa, sì la UE capitanata dalla (mia amata) Germania. Gli USA sono esenti da colpe

Esiste una folta schiera di Italiani i quali ritengono che gli USA e la NATO siano gli autentici responsabili della guerra in Ucraina. La folta schiera è composita: molti 5stelle populisti, ex comunisteggianti  attaccati all’idea che la democrazia americana sia in verità una potenza imperialista che vuole soggiogare tutti, parecchi fascisti che trovano ormai in Putin il loro punto di riferimento (fascisti legati al sovranismo leghista di Salvini, non a quello della Meloni, la quale ha come punto di riferimento la ultra-destra americana).

Ho sentito nelle ultime settimane le più incredibili sciocchezze a giustificazione  dell’idea sopra esposta. Quasi  nessuno sembra avere percepito che principale indiretta responsabile dello strazio della Ucraina a opera di Putin è semmai l’Europa, sì la UE capitanata dalla mia amata Germania.

La implosione dell’URSS fu dovuta alla impossibilità di un sistema economico rigidissimo e pianificato in tutto, quale lo imponeva il comunismo. Gorbaciov tentò in quegli anni (1989-1992) di essere artefice di un trapasso quanto più possibile indolore dell’URSS dal totalitarismo assoluto a una nuova forma politica ancora non ben definita. I Paesi del Patto di Varsavia, i quali tutti erano stati occupati militarmente dall’URSS alla fine della 2a guerra mondiale e odiavano quell’occupazione e le dittature ultra-filo-sovietiche loro imposte si staccarono immediatamente dal Patto di Varsavia (l’anti-NATO), che fu cassato, e cercarono rapporti quanto più possibile stretti con l’Europa e con l’Occidente in genere: così Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, la neo-repubblica ceca, la Slovacchia ecc. ecc. Gorbaciov, preoccupato per l’immane indebolimento politico della Confederazione russa e consapevole che la DDR (cioè la Germania occupata dai Russi) stava per riunirsi alla Bundesrepublik, cioè alla Germania libera; Gorbaciov  dunque tra il 1990 e il 1992 chiese verbalmente ai capi di governo di diversi Paesi europei importanti (in primis la Germania, certo) e degli stessi USA  la garanzia che gli altri Paesi dell’ex Patto di Varsavia  non sarebbero stati accolti nella Nato (accolta immediatamente, ovvio, la ex-DDR). Egli ricevette a più riprese in quegli anni dai Paesi NATO rassicurazioni circa il fatto che i Paesi ex-satelliti dell’URSS non sarebbero entrati nella NATO. Dettero assicurazioni verbali il Presidente USA George Bush senior, il suo segretario di stato James Baker, il cancelliere tedesco Helmut Kohl, il presidente francese François Mitterand, il primo ministro UK Margaret Thatcher e il successore John Major. Di queste conversazioni, registrate, esistono i verbali; a essi si riferisce il modestissimo scoop dello “Spiegel”, che ne scrisse mesi or sono come se queste assicurazioni telefoniche avessero solenne valore di trattato (i verbali sono in parte stati pubblicati  anche su “Panorama”: cfr. nell’appendice sottostante; ringrazio la sig.ra Maria Chiara Pavone della informazione).

Ovviamente l’Occidente temeva che quei Paesi non sarebbero stati in grado di darsi ordinamenti democratico-liberali stabili, ancorché fossero palesemente attratti in maniera quasi estrema dal miraggio del benessere puramente materiale. Non furono mai siglati trattati né impegni formali di alcun genere che sancissero la esclusione dagli istituti del mondo occidentale dei Paesi ex-Patto  di Varsavia. Come avrebbero mai potuto  le democrazie liberali impegnarsi in modo formale, contro le loro costituzioni nazionali e i trattati che regolavano il loro assetto confederale sovranazionale, a rifiutare a priori l’ingresso negli istituti dell’Occidente ai Paesi i quali avessero le carte in regola per essere accolti in quegli Istituti (adesione allo stato di diritto in primo luogo, cioè piena indipendenza della magistratura, pluralismo politico,  ovvero sistema dei partiti, libertà di espressione ecc.)?

Il vero è che l’Occidente si fidava di Gorbaciov, non pensava che gli ex-Patto di Varsavia sarebbero voluti entrare subito in un’alleanza militare che a quel patto era contrapposta, comprendeva perfettamente la necessità che la nuova Confederazione  russa non si sentisse minacciata e mirava a cercare nuove condizioni di sicurezza nel Continente europeo tali che tutti i Paesi del Continente si sentissero garantiti. Tutti, Gorbaciov incluso, speravano che la Russia diventasse un partner nella casa comune europea. Senonché i Paesi dell’ex-Patto di Varsavia, praticamente subito dopo avere riacquistato piena indipendenza e sovranità, cominciarono a bussare alle porte del mondo Occidentale e delle istituzioni che di questo mondo sono garanti. Volevano diventare Occidente a pieno titolo. Chi ha visitato (come chi scrive) la DDR ai tempi della  occupazione russo-comunista sa che nulla, proprio nulla, era stato fatto per modernizzare, per procurare benessere diffuso ecc. I cessi delle poche stazioni di rifornimento nelle scalcinate autostrade della DDR erano del tipo di quelli della stazione ferroviaria del Cairo. Il tempo, per il resto, si era fermato: i Tedeschi della Bundesrepublik trovarono nella ex-DDR la stessa Germania del periodo nazista (case, infrastrutture ecc.). Non vi era paura della Russia post 1990 da parte di quei Paesi ex-satelliti: essi volevano, invece, affrettare la corsa al benessere materiale diffuso. Chi più di ogni altro aveva paura della Confederazione russa erano la Ucraina e la Georgia. Di questi Paesi, molto russofoni, non si fidava nemmeno l’Occidente. ALLA CADUTA DELL’URSS L’UCRAINA SI TROVÒ A ESSERE INFATTI LA TERZA POTENZA NUCLEARE DEL PIANETA. COSÌ, IL 5 DICEMBRE 1994 VENNE FIRMATO IL MEMORANDUM DI BUDAPEST, CON CUI L’UCRAINA DA POCO INDIPENDENTE CONSENTÌ ALLO SMANTELLAMENTO DELLE TESTATE NUCLEARI SOVIETICHE CHE ERANO SUL SUO TERRITORIO. IN CAMBIO USA, UK E CONFEDERAZIONE RUSSA SI FECERO GARANTI DELLA INDIPENDENZA E DELLA INTEGRITÀ TERRITORIALE DELLA UCRAINA. In sostanza la Russia di Putin ha violato un impegno formalmente assunto (e lo sta violando dal 2012 almeno), mentre USA e UK, dopo qualche esitazione, stanno adempiendo agli impegni FORMALMENTE presi con l’Ucraina.

Per parecchi anni tutti i Paesi ex-Patto di Varsavia perseguirono modelli credibili di società democratico-liberale. L’Occidente credette che quei modelli sociali coincidessero con forme politiche democratico-liberali. Vi fu da parte dei Paesi dell’ex-patto di Varsavia un arrembaggio alle Istituzioni europee. Poiché non era possibile farli entrare tutti subito nella UE fu concesso loro di entrare nella Nato. Parallelamente le democrazie liberali della UE cercarono di rendere il Continente europeo una Casa comune per tutti. Mitterand arrivò a vagheggiare lo smantellamento della NATO. Berlusconi, presidente del consiglio euroscettico si adoperò in politica estera per l’inserimento della Russia nella predetta Casa comune. Per sua iniziativa il G7 divenne G8 (con inclusione della Confederazione russa) e la NATO divenne NATO più Russia, con intesa firmata a Roma da tutti i Paesi della NATO e da Putin per conto della Confederazione russa.

Con  ogni probabilità Putin era sincero allora, quando dichiarava «oggi non c’è alternativa alla collaborazione e la Russia non può stare fuori dall’Europa ». Berlusconi sperava sicuramente che Putin sarebbe andato avanti per la strada della liberalizzazione non solo economica ma anche politica fino a chiedere di diventare un partner NATO a pieno titolo. Fin dal 1997 era stato avviato un progetto per la costruzione e l’esercizio di un gasdotto dalla Russia alla Germania del Nord attraverso il Mar Baltico (il progetto Nordstream 1). Gli diede grande impulso dal 1998  l’allora cancelliere Schroeder (arrivato successivamente ai vertici di Gazprom e ancora adesso grande amico e strenuo difensore di Putin). A partire dal 2011 Russi e Tedeschi tentarono  di avviare il progetto Nordstream 2 al fine di raddoppiare la capacità annua di trasferimento del gas dalla Russia all’Europa Centrale e dell’ovest, ma incontrarono l’ostilità e il veto di Polonia, degli USA e di altri Paesi. Nell’aprile 2008 il presidente USA  G.W. Bush junior chiese con forza agli alleati europei di dare il via libera all’ingresso nella NATO di Ucraina e Georgia. Putin disse che la cosa non gli piaceva affatto. Non gli piaceva avere altri Paesi NATO confinanti con la Russia. Tutti i Paesi baltici e tutti i membri NATO che provenivano dallo scioglimento del Patto di Varsavia dettero parere pienamente favorevole. Si oppose con risoluta fermezza la cancelliera Angela Merkel e quasi giocoforza i Paesi della vecchia Europa e UE (Francia, Italia, Belgio, Spagna, Portogallo, Grecia, Olanda, Lussemburgo, Norvegia) finirono per appoggiare il veto della Merkel. A me donna, grande ammiratrice della Germania, convinta estimatrice della Merkel fino a poche settimane or sono, si accappona oggi la pelle: senza quel veto l’Ucraina non verrebbe da 75 giorni straziata da Putin.

La Merkel e i suoi vassalli motivarono il proprio veto con la tesi che le popolazioni di  Ucraina e Georgia erano ancora troppo legate a Mosca e non desideravano realmente di entrare nell’alleanza atlantica. Con la scienza del poi comprendiamo bene che la Merkel desiderava di non urtarsi con i Russi.

Con una incoscienza che oggi definirei non solo cieca e idiota ma anche criminale, l’Europa capeggiata dalla Germania si consegnò alla dipendenza dal gas russo. Angela, per ragioni elettorali (crescita del movimento dei Verdi), aveva fretta di cominciare a chiudere le sue Centrali nucleari, efficienti e sicure. Delle scelte bestialmente cretine degli Italiani ho già scritto (cfr. l’articolo Sulla crisi energetica che sta facendo lievitare i prezzi nel nostro Paese) e mi sento male a ripensarci. Eppure nel 2008 c’erano già molti dati dai quali si poteva comprendere che Putin non stava affatto diventando quel partner affidabile e pacifico nel quale la UE e la NATO avevano sperato. Proprio così: è terribile ricordarlo, ma il 3 aprile 2008 Angela Merkel disse NO all’ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO proposto e caldeggiato da G. Bush J. Voleva tenersi buoni i Russi, voleva il maledetto gasdotto. La Merkel, oggi, dal 24 febbraio  u.s., è una donna disperata. Troppo comodo: doveva provare disperazione allora, nel dire ben chiaro, come lei sa fare, che non era possibile chiudere le centrali nucleari fino a che la Germania non raggiungesse autonomia energetica dalle fonti alternative.

Com’è noto dal 2012 circa Putin cominciò a mettere a ferro e fuoco il Donbass, anche inviando a combattere contro gli Ucraini milizie proprie o milizie mercenarie. L’Occidente chiuse tutti e due gli occhi davanti a questa FLAGRANTE VIOLAZIONE  del formale Memorandum di Budapest 2004. Putin giustificava il proprio agire asserendo che quella regione si sentiva russa, voleva essere russa. Non pochi russofoni  sono anche russofili; ma la maggioranza dei russofoni desidera oggi più che mai la piena indipendenza dai Russi.

Putin ha fomentato guerra e guerriglia in Donbass non certo perché propugna l’idea della grande madre Russia o altre scemenze simili (iper-anacronistiche anche ai tempi di Tolstoj), e nemmeno perché sia sensibile al grido di dolore delle minoranze russofile, bensì perché quella zona è di gran lunga la più ricca di materie prime della Ucraina, insomma, perché oltre che essere un tiranno dei più crudeli, sanguinario e imperialista, Putin è pure un ladrone in senso stretto e tale è anche la sua cerchia feroce e avida (cfr. in questo blog sulle ricchezze bramate da Putin l’articolo: Putin: progetto politico neo-imperialista e determinazione, per fare cassa, a impadronirsi della ricca regione del Donbass). Del resto le reti televisive oggi ci mandano le immagini dei soldati russi che portano via tonnellate di grano dall’Ucraina e delle navi ucraine cariche di granaglie che non possono partire: Putin vuole affamare il Nord Africa e ampie zone dell’Oriente (in Sri Lanka è già stato decretato il coprifuoco, ma numerosi ministri sono già fuggiti).

Nel marzo 2014 Putin occupò la Crimea, regione ucraina. L’Occidente decretò sanzioni molto blande contro la Russia, insomma chiuse gli occhi (non si poteva urtare la suscettibilità russa a causa del gas e del petrolio: siamo dovuti arrivare all’era Draghi per capire che occorre recidere la dipendenza energetica europea da Mosca!!!).

Poiché nel Donbass veniva fomentata la guerra civile e i Russi mandavano armi, munizioni e squadracce a combattere contro gli Ucraini nel territorio di questi, la Ucraina si rassegnò a siglare il cosiddetto Protocollo di Minsk (2014-2015), rivisto a più riprese e mai rispettato né dalla Ucraina né dalla Confederazione russa (sull’argomento cfr. nell’Appendice l’articolo 10 febbraio 2022 di Marta Serafini sul Corriere della sera esteri, che condivido solo parzialmente, ma che è equilibrato). In cambio di un’ampia autonomia giurisdizionale alle zone russofile del Donbass (qualcosa di simile all’autonomia di cui ha beneficiato in Italia il Sud Tirolo) la Confederazione russa avrebbe abbandonato il territorio ucraino. Quell’autonomia non fu mai concessa e il governo ucraino, possiamo dire  con la scienza del poi, ebbe ragione: concederla sarebbe stato solo un cavallo di troia per l’annessione dell’intero Donbass alla Confederazione russa.

Il maggiore esperto realistico/pragmatico di politica estera sul piano mondiale, Henry Kissinger, pubblicò, sul Washington Post del 5 marzo 2014 un articolo dal titolo «To settle the Ukraine crisis, start at the end» («Per risolvere la crisi ucraina, si cominci dalla fine») nel quale ammoniva l’Ucraina «e commentava gli effetti della rivoluzione di Euromaidan, esplosa a cavallo tra il ’13 e il ’14 dopo che il presidente Yanukovyc aveva rifiutato di firmare l’accordo di associazione con l’Ue per siglarne uno con la Russia, finendo per essere costretto alla fuga dalla reazione popolare» (Gianluca Mercuri sul Corriere della sera dell’ 11 marzo 2022). Scriveva tra l’altro Kissinger: «Saggi leader ucraini dovrebbero optare per una politica di riconciliazione tra le varie parti del loro paese. A livello internazionale, dovrebbero perseguire una posizione paragonabile a quella della Finlandia. Quella nazione non lascia dubbi sulla sua fiera indipendenza e coopera con l’Occidente nella maggior parte dei campi, ma evita accuratamente l’ostilità istituzionale verso la Russia». Oggi sappiamo che la popolazione ucraina sollevatasi contro il  presidente fantoccio installato da Putin aveva pienamente ragione, che Kissinger è stato molto ingenuo, e che la Finlandizzazione migliore oggi consiste nell’entrare a pieno titolo nella NATO e nella UE. Il presidente Volodymyr Zelensky, poverino, ha già detto tuttavia che il suo Paese dovrà rinunziare a entrare nella NATO, e ha chiesto che Paesi NATO si facciano garanti della integrità territoriale della Ucraina (questa pare una ingenuità, ma è sul piano politico e diplomatico doveroso: che Dio aiuti l’Ucraina!). Quanto alla Finlandia (uno dei Paesi più gentili  del mondo!), Kissinger si è dimenticato di scrivere che questa, amputata di una porzione del suo territorio dalla Russia comunista di Stalin, finì per allearsi con Hitler; talché alla fine della 2a guerra mondiale fu costretta ad accettare la pax russa: seconda amputazione a beneficio dei Russi di un’ampia porzione del suo territorio. Certo, la politica di neutralità di Finlandia e Svezia ha dato dei frutti: ma ha potuto darli perché entrambi i Paesi sono entrati per tempo nella UE.

Tanto per darsi un tono e dire che egli era stato provocato dall’Occidente, Vladimir Putin fece annunciare dal ministero degli Esteri russo (Mid) che il 15 dicembre 2021 era stato consegnato agli Usa e alla NATO un corposo ‘trattato di pace’, in cui erano formulate le richieste russe per alleggerire le tensioni in Europa dell’est. Tra le misure proposte, anticipate da vari media russi, vi era la creazione di una “hotline” tra Mosca e la NATO, la promessa da parte degli Usa di “non espandere” ulteriormente la NATO e di “non accettare” al proprio interno paesi che facevano parte dell’Unione Sovietica. (ANSA).

Quando i Russi proposero questo, l’invasione della Ucraina era stata decisa da mesi e mesi. Il tiranno si è preso gioco degli Europei, mentre gli USA non ci sono cascati. Putin, come oggi sappiamo, aveva stanziato enormi somme di denaro al settore “esteri” dei suoi servizi segreti affinché venissero corrotti gli ufficiali dell’esercito ucraino e quanti più possibile alti funzionari dell’apparato statale e della nomenclatura politica. Erano già stati scelti il presidente-fantoccio da sostituire a Zelensky e altri membri-fantoccio dell’amministrazione e della politica. Putin ha fatto arrestare i capi dei servizi segreti “all’estero” intorno a fine marzo 2022 perché gli avevano detto di avere raggiunto gli obiettivi, laddove, come  si è constatato, la resistenza e la controffensiva ucraina sono state eroiche fin dal primo giorno e i Russi non sono riusciti a conquistare Kiev, dopo averla assediata per settimane. Poi, come ci è notissimo, parecchi altri politici russi di spicco sono stati arrestati, per tradimento essi pure, mentre numerosi oligarchi sono stati suicidati.

Ma come biasimare questi poveracci se, terrorizzati dal tiranno feroce, non hanno avuto il coraggio di dirgli la verità?

Infine: moltissimi pare non abbiano capito che — se non lo avessero fregato i Cinesi — Putin avrebbe conseguito tutti i suoi obiettivi. Dopo avere foraggiato generosamente tutte le aree anti-UE e anti-USA di casa nostra (entro il 2016-2018: Brexit, semi-sollevazione della Catalogna, gilets jaunes, Salvini ecc.) Putin, il quale con i suoi informatici aveva dato un bel contributo alla elezione di Donald Trump, ostilissimo alla NATO e alla UE, si preparava all’invasione, ovviamente, durante la presidenza Trump. Ma ecco che i Cinesi regalano al mondo intero la pandemia da Sars cov ecc. Trump gestisce malissimo la pandemia a casa sua e non viene rieletto. Al suo posto va il filo-UE Biden. Cosa sarebbe accaduto se Putin avesse invaso l’Ucraina durante la presidenza Trump? Semplice, Trump avrebbe detto: «l’Ucraina NON è NATO, dunque io-USA me ne lavo le mani. Se voi UE volete aiutarla fate pure ma in coscienza ve lo sconsiglio».

Oggi, da pochissimi anni soltanto, ci  siamo resi conto purtroppo che l’Ungheria, un tempo artefice di ribellioni eroiche (ma di élite) contro la oppressione dittatoriale sovietica non è stata capace di essere un Paese veramente libero e ha assunto una forma politica la quale non rispetta i diritti di tante minoranze (p.e. degli omosessuali) e nemmeno lo stato di diritto (sottomissione della magistratura alla politica). Qualcosa di analogo dolorosamente accade in Polonia, la quale tuttavia si sta per ora riscattando eroicamente con la solidarietà straordinaria che offre agli Ucraini straziati da Putin. Superficialmente, la UE non chiese a Polonia e a Ungheria di riscrivere la loro costituzione ai fini dell’ingresso nella Confederazione europea. La costituzione di quei Paesi è la medesima che vi era ai tempi della dittatura comunista. Vi è rimedio? Speriamo di sì quanto alla Polonia; l’Ungheria è filo-putiniana, ahimè. Cerchiamo di stare attenti, guardinghi, a fronte dei numerosi e difficili Paesi che ancora chiedono di entrare.

© 2022 Maria Gabriella Riccobono All Rights Reserved

Aggiunta 21/05/2022: frattanto lo Sri Lanka ha fatto default. Di ciò è responsabile soprattutto il cieco e stolto affidamento riposto da quel Paese nella Cina

Appendice:

  • Mondo      Il Messaggero

GUERRA

Tradito il Memorandum di Budapest: quando l’Ucraina rinunciò al nucleare in cambio dell’indipendenza

Nel 1994 venne firmato l’accordo con Usa, Russia e Regno Unito. Trent’anni dopo è carta straccia

Descrizione: Tradito il Memorandum di Budapest: quando l'Ucraina rinunciò al nucleare in cambio dell'indipendenza

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Mercoledì 2 Marzo 2022, 11:05 – Ultimo aggiornamento: 11:55

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Nel 1994, poco dopo il crollo dell’Unione sovietica, in Occidente aleggiava un fantasma. O meglio un incubo. Era la paura che i brandelli di arsenale nucleare finiti nelle mani di nuovi stati e governi potessero diventare fuori controllo. Usa e Regno unito ottennero dall’Ucraina da poco indipendente lo smantellamento delle proprie testate. In cambio, insieme alla Russia, si fecero garanti dell’indipendenza e dell’integrità territoriale del Paese.  Meno di trenta anni dopo, quegli accordi si sono rivelati carta straccia. 

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Quell’accordo prese il nome di “Memorandum di Budapest” e venne firmato il 5 dicembre 1994. Con questa intesa l’Ucraina accettava di smaltire l’enorme scorta di armi nucleari che aveva ereditato in seguito alla dissoluzione dell’Urss, aderendo al trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Le testate nucleari (1.900) furono di conseguenza inviate in Russia per lo smantellamento nei successivi due anni. In cambio, l’Ucraina aveva ottenuto (il passato a questo punto è d’obbligo) garanzie da Russia, Stati Uniti e Regno Unito, successivamente anche da Cina e Francia, per la sua sicurezza, indipendenza ed integrità territoriale.

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Nel dettaglio secondo il memorandum, la Russia, gli Stati Uniti e il Regno Unito concordano, in cambio dell’adesione dell’Ucraina al trattato di non proliferazione delle armi nucleari e del trasferimento del suo arsenale nucleare in Russia a rispettare l’indipendenza e la sovranità ucraina entro i suoi attuali confini; astenersi da qualsiasi minaccia o uso della forza contro l’Ucraina. Inoltre si astengono dall’utilizzare la pressione economica sull’Ucraina per influenzare la sua politica; chiedere l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite se vengono usate armi nucleari contro l’Ucraina e astenersi dall’usare armi nucleari contro l’Ucraina. 

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Durante la crisi di Crimea del 2014, l’Ucraina ha fatto riferimento proprio a questo trattato per ricordare alla Russia che si è impegnata a rispettare i confini ucraini e agli altri firmatari che ne sono garanti e gli Stati Uniti che hanno sostenuto che il coinvolgimento russo viola i suoi obblighi nei confronti dell’Ucraina ai sensi del Memorandum di Budapest e in palese violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. 

«L’Ucraina è l’unica nazione della storia che ha rinunciato ad un arsenale nucleare, che nel 1994 era il terzo più grande del mondo, con le garanzie di Usa, Regno Unito e Russia. Dove sono queste garanzie? Noi ora siamo bombardati ed uccisi». Così, mentre  l’armata russa iniziava l’invasione dell’Ucraina, il deputato ucraino Alexey Goncharenko, ai microfoni di Fox News, ricordava che Kiev – contrariamente a quanto suggerito da Vladimir Putin e la sua macchina della propaganda che ora insinua che Kiev starebbe preparando una “bomba sporca” da usare contro la Russia – ha scelto 30 anni fa la via della denuclearizzazione. Dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’Urss, il 1 dicembre 1991, l’Ucraina si ritrovò infatti nella posizione di terza maggiore potenza nucleare mondiale, con circa 3mila testate nucleari tattiche e 2mila testate strategiche, secondo i conteggi della Federation of American Scientists. Praticamente un terzo dell’arsenale nucleare sovietico era rimasto sul territorio ora diventato ucraino.

 La Russia di Putin era stata dichiarata in violazione del Memorandum già nel 2014 al momento dell’invasione e poi annessione della Crimea. Per tutta risposta il presidente russo allora affermò che considerava non più valido l’accordo. Ed ora per giustificare la nuova aggressione all’Ucraina da giorni, insieme alla sua macchina della propaganda, continua a sostenere che l’Ucraina sia ancora in possesso di tecnologia nucleare sovietica e che la voglia usare per creare armi atomiche, magari bombe sporche da usare contro la Russia. «È una grande tragedia che Putin sia così preso dalle sue rivendicazioni che non ricorda quanto abbiamo lavorato insieme, americani, russi ed ucraini, per assicurare che lo smantellamento dell’arsenale nucleare sovietico non portasse alla creazione di tre nuove potenze nucleari», ha affermato nei giorni scorsi al New York Times Rose Gottemoeller, che è stata tra i negoziatori del New Start. 

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Dal memorandum di Budapest alle armi Usa: ecco in quali mani è passato l’arsenale nucleare dell’ex Ucraina sovietica

Durante la guerra fredda Kiev aveva il terzo deposito atomico più grande del mondo. «Fu un errore quel disarmo oggi avrebbe funzionato da deterrente contro Mosca»

TOMMASO CARBONI

23 Aprile 2022 alle 01:00

3 minuti di lettura

Cfr. sull’argomento anche Elisabetta Burba su “PANORAMA”, 21 marzo 2022, con copie dei verbali 1990.

Per NATO + Russia del 2002:

STERI
Descrizione: https://www.repubblica.it/s.gif L’intesa a venti stringe il rapporto tra Mosca e l’Alleanza
Severe misure di sicurezza per garantire l’incolumità  degli ospiti
       La Repubblica Firmata l’intesa Nato-Russia
“Uniti contro il terrorismo”
Berlusconi: “Oggi siamo più¹ forti che mai” Descrizione: https://www.repubblica.it/online/esteri/natodue/vertice/reuters002e14c6cxw200h159c00.jpgROMA – Con la firma da parte dei 19 paesi membri della Nato e della Russia della Dichiarazione di Roma, le porte dell’Alleanza atlantica si sono aperte all’ex potenza comunista. I capi di Stato e di governo dell’Alleanza e il presidente russo Vladimir Putin, riuniti nella base militare di Pratica di Mare, hanno in questo modo messo la parola fine alla contrapposizione che ha caratterizzato gli anni della guerra fredda, e inaugurato una nuova visione unitaria degli equilibri mondiali, che ha come obiettivo primario la lotta contro il nemico comune del terrorismo.

Formalmente la Dichiarazione di Roma, firmata a fine mattinata, crea un Consiglio a venti, composto dai paesi Nato e dalla Russia. In questa sede i membri potranno discutere e adottare decisioni su base paritaria su nove temi: lotta al terrorismo, gestione delle crisi, non proliferazione delle armi di distruzione di massa, controllo degli armamenti e misure di rafforzamento della fiducia reciproca, difesa contro i missili di teatro, operazioni di salvataggio in mare, cooperazione militare e riforma dei sistemi di difesa, piani a fronte di emergenze civili, sfide e nuove minacce. Le decisioni, hanno spiegato i leader, verranno prese con il metodo del “consenso”, sulla base di “un dialogo comune”.

Descrizione: https://www.repubblica.it/online/esteri/natodue/vertice/ansa002e0e45cxw200h187c00.jpgDopo la firma, i capi di governo dei venti hanno iniziato un pranzo di lavoro: più tardi incontreranno la stampa per illustrare i punti di cui si è discusso durante i lavori.

La minaccia terroristica è stato comunque il tema dominante della riunione: a essa ha fatto riferimento nel suo discorso inaugurale Lord George Robertson e dopo di lui tutti gli altri leader. Il segretario generale della Nato ha invitato e i paesi membri e la Russia a lottare uniti contro il comune nemico del terrorismo. “Il successo o il fallimento del Consiglio a venti – ha concluso il segretario generale della Nato – dipende dalla capacità di tutti di lavorare nell’interesse comune”. Lo stesso concetto è stato poi ripetuto da Berlusconi nel suo intervento. “Noi oggi siamo più¹ forti che mai – ha spiegato il premier italiano – il terrore non potrà  vincerci mai”. “Fino a poco tempo fa un incontro di questo genere era impensabile – ha sottolineato invece Putin – ma oggi non c’è alternativa alla collaborazione e la Russia non può² stare fuori dall’Europa”. Da parte sua Bush ha osservato che i due ex nemici sono ora uniti come partner e ha prospettato la realizzazione di uno scudo spaziale allargato all’Europa.

A sorvegliare sulla sicurezza dell’incontro ci sono 15mila uomini. Lo spazio aereo e quello marino intorno alla base militare sono sotto strettissima sorveglianza, così come le strade che dalla capitale conducono al luogo dell’incontro. In mattinata, in tilt il traffico in buona parte di Roma: la maggior parte delle delegazioni hanno infatti alloggiato in ambasciate e alberghi nel centro della città. Lunghi cortei di auto hanno dunque attraversato la capitale per raggiungere Pratica di Mare proprio nelle ore di punta per il traffico cittadino.

(28 maggio 2002)

SUL RIFIUTO UE DI CONCEDERE A Ucraina e a Georgia l’ingresso nella NATO:

ESTERI

 La  Repubblica

Vertice di Bucarest, il presidente Usa aveva chiesto l’apertura ai due paesi

Nato, no degli europei a Bush
“Georgia e Ucraina per ora fuori”

Contrari tra gli altri Italia, Germania, Francia, Spagna, Olanda, Belgio
Il capo della Casa Bianca ha ottenuto un aumento delle truppe in Afghanistan
dal nostro inviato VINCENZO NIGRO

Descrizione: <B>Nato, no degli europei a Bush<br>"Georgia e Ucraina per ora fuori"</B>

Il presidente Bush in partenza da Kiev

BUCAREST – Georgia e Ucraina per ora non entrano nella Nato. George Bush ha perduto la sua battaglia per garantire alle due repubbliche ex sovietiche l’accesso al “Membership action plan”, un percorso che ha come sbocco finale l’ingresso nell’alleanza militare occidentale.

Bush era arrivato a Bucarest, per il vertice più imponente mai tenuto dalla Nato, con Ucraina e Georgia al primo punto della sua agenda. “Dobbiamo concedere al più presto l’ingresso nella Nato a questi due paesi, dobbiamo coinvolgerli nella comunitïtà della sicurezza euro-atlantica”. Ma contro il parere del presidente americano c’erano le obiezioni irremovibili della Germania di Angela Merkel, a cui si sono accodati via via la Francia, l’Italia e quasi tutti i paesi della “vecchia Europa”. Con Bush erano schierati invece i paesi baltici della Nato e naturalmente quelli che erano membri del Patto di Varsavia, come Polonia e Romania, nazioni che hanno ancora vivo il ricordo dell’oppressione subita per anni dall’Urss. Contro Ucraina e Georgia naturalmente la Russia di Putin, che da mesi aveva minacciato che non avrebbe accettato senza reagire l’allargamento della Nato fino ai suoi confini.

Contraria la “vecchia Europa”. La Nato decide per consenso, e un solo paese contrario sarebbe bastato a bloccare Bush. Così è successo ad esempio in queste ore per l’allargamento alla Macedonia. Croazia e Albania entreranno, la Macedonia no, perché il governo greco si oppone (la Macedonia nata dalla fine della ex Jugoslavia vuole mantenere il nome che indica tutta la regione settentrionale della stessa Grecia). Su Ucraina e Georgia l’opposizione nella Nato era però molto più massiccia e motivata. Con la Germania erano contrarie Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Olanda, Belgio, Lussemburgo e Norvegia. Gli stessi britannici di Gordon Brown avevano obiettato agli Usa l’opportunità di andare allo scontro con la Russia proprio adesso (il caso Kosovo è ancora fresco) e soprattutto per due paesi che sono tutt’altro che pronti per entrare nella Nato. L’Ucraina perché ha metà della popolazione e della sua classe politica contrarie alla Nato stessa e vicine invece alle posizioni della Russia. La Georgia perché sul suo territorio non controlla due province, l’Ossezia del sud e l’Abkhazia, che sono in mano a gruppi armati e sostenuti dalla Russia stessa, due regioni che sarebbero pronte ad accelerare nella secessione da Tbilisi se solo da Mosca partisse un ordine.


“Non è una sconfitta”. Ieri sera un diplomatico americano ha detto però che il no della Nato a Ucraina Georgia “non è una sconfitta” per gli Stati Uniti, perché oggi nella dichiarazione finale verrà riconosciuto il principio della “porta aperta” della Nato verso quei due paesi. Forse la Casa Bianca non ha tutti i torti, perché chiaramente Bush ha cercato lo scontro finale su Ucraina e Georgia sapendo di perdere. Ma l’intenzione del presidente americano era quella di riaffermare i suoi principi politici ideali, mantenere un percorso che comunque indirizza Ucraina e Georgia verso la Nato. Ma poi ha anche potuto garantirsi altre ricompense al tavolo del vertice Nato.

Più soldati in Afghanistan. Il primo successo dopo lo schiaffo arriverà domani sull’Afghanistan: la Nato annuncerà un piano per rafforzare la missione a Kabul, per raddrizzare le sorti della guerra trascurata perché Bush decise di impegnarsi nell’invasione dell’Iraq. Un piano che verrà annunciato dopo gli incontri con il presidente afgano Hamid Karzai e con il segretario dell’Onu Ban Ki Moon. La Nato schiererà più soldati, più addestratori e più mezzi, e soprattutto costruirà più coesione politica e più coordinamento con Onu e Unione europea per vincere contro i talebani.

Dan McNeill, il generale che americano che comanda le forze Nato a Kabul, aveva chiesto di salire da 47mila (di cui 27mila sono americani) a 55mila soldati: non avrà tutto quello che chiede, ma almeno altri 3.000 uomini verranno offerti dai paesi alleati. La Francia ha confermato la sua offerta (1.000 soldati o poco meno), Londra ne garantirà altri 800, altri verranno da Polonia e Repubblica ceca, la povera Georgia ne porterà 500.

Nazioni come Germania, Italia, Spagna continuano a rifiutarsi di accrescere adesso i loro numeri, e soprattutto di spostare i loro uomini al sud, per combattere i talebani in prima linea. Ma si stanno preparando però a dire di sì a un’altra richiesta di McNeil. La Nato ha varato un piano per gli “Operational Mentoring Liaison Team”, gruppi di addestratori che verranno schierati al fianco delle unità dell’esercito e della polizia afgana. Saranno istruttori impegnati sul terreno a continuare a livello operativo l’addestramento che adesso viene effettuato a livello di grandi unità. Quando questi “OMEL Team” entreranno in azione, i reparti afgani inizieranno a combattere avendo al loro fianco, se serve anche alla guida, ufficiali tedeschi, francesi, spagnoli e magari anche italiani.

Il Canada rimane. Ancora un buon risultato per Bush � aver trovato una soluzione per mantenere in Afghanistan il contingente del Canada, e per questo dovr� ringraziare la Francia. Da mesi 2.500 soldati canadesi combattono duramente in prima linea, e avendo gi� perso 80 uomini il primo ministro Stephen Harper aveva minacciato il ritiro totale se non fosse riuscito a ottenere una rotazione. La rotazione ci sar�: a Sud si sposteranno 1.000 americani, rimpiazzati nell’Est dai rinforzi francesi di Sarkozy; buona parte dei canadesi verrebbero impegnati anche nell’addestramento e negli “Operational Team”.

Altro aggiustamento sul terreno potrebbe essere la riduzione delle forze schierate sul terreno: a Kabul potrebbero essere ridotte, per essere spostate nelle zone pi� calde. E’ l’ipotesi che aveva anticipato il capo dell’Esercito italiano, il generale Castagnetti: ad agosto, quando terminer� il periodo di comando italiano a Kabul, 500 soldati italiani potrebbero rischierarsi a Herat, che � gi� una zona comandata dall’Esercito. E non verrebbero neppure “sforati” i numeri che sono stati approvati dal Parlamento. Ma questa � una decisione politica che il governo Prodi ha riservato all’esecutivo che uscir� dalle urne il 13 aprile.

Il nuovo piano per l’Afghanistan sarà siglato anche dagli altri paesi non-Nato che partecipano alla missione militare, ma soprattutto sarïà condiviso con organizzazioni come le Nazioni Unite, l’Unione europea, la Banca Mondiale. A Bucarest ci sono anche Ban Ki Moon e Solana: Onu e Ue ricompenseranno Bush per lo schiaffo che gli è arrivato su Ucraina e Georgia.

(2 aprile 2008)

Niente Nato per Georgia e Ucraina

Il “no” di Putin fa saltare l’accordo.

02 Aprile 2008

Modificato il: 02 Aprile 2008

BUCAREST
Nessun accordo su Ucraina e Georgia. I leader dei Paesi dell’Alleanza atlantica, riuniti a Bucarest, non sono riusciti a trovare un’intesa per far entrare Kiev e Tbilisi nel Piano d’azione per l’adesione (Map), anticamera per l’ingresso nella Nato. «La posizione della Germania (che si oppone all’ingresso, ndr.) non è cambiata», hanno riferito alcune fonti.

Pesa il “no” della Germania
La notizia è stata confermata dal ministro degli Esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, il quale ha spiegato che «vi sono alcuni Paesi che vogliono il Map subito, e altri che ritengono non sia il momento adatto». La linea tedesca era stata dettata da Angela Merkel, già al suo arrivo all’aeroporto. «Abbiamo raggiunto la conclusione che è troppo presto per dare a entrambi i Paesi lo status di Map», aveva dichiarato il cancelliere tedesco: Per Merkel, «il messaggio» da dare alle due repubbliche ex sovietichè è quello che «la porta è aperta». «Vediamo una prospettiva per l’ingresso e vogliamo aiutare entrambi i Paesi ad andare verso il Map», ha spiegato il cancelliere.

Inutile il pressing Usa
Ancora poche ore prima dell’inizio del summit, Bush aveva sponsorizzato la causa di Georgia e Ucraina e aveva ribadito la volontà di offrire ai due Paesi «un chiaro percorso per avanzare» verso l’ingresso nell’Alleanza. Oltre al categorico “niet£ russo, che imporrebbe un alto prezzo nei rapporti con Mosca in caso di ingresso nella Nato di Georgia e Ucraina, nell’Alleanza esistono altre preoccupazioni. Per l’Ucraina c’è il timore della contrarietà dell’opinione pubblica (in un sondaggio condotto a gennaio solo uno su tre era favore del Map) che si potrebbe tradurre in una bocciatura da parte del Parlamento di Kiev. Per la Georgia viene ricordato lo stato d’emergenza imposto dopo le proteste di piazza a dicembre e i conflitti nelle regioni separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud.

Afghanistan: Bush chiama, Sarkò risponde
Al vertice di Bucarest Bush è anche tornato sulla questione Afghanistan, sottolineando che la Nato «non può permettersi una sconfitta nel Paese». Per questo, i Paesi che fanno parte dell’Alleanza devono «inviare più truppe» nel Paese centro-asiatico, facendo della lotta contro i Talebani una delle «massime priorità» atlantiche, al pari di quella ai gruppi terroristici in generale, e ad al-Qaeda in particolare. È l’appello lanciato da George W. Bush in un discorso pronunciato poche ore prima dell’apertura ufficale dell’annuale vertice della Nato, a Bucarest. Appello a cui risponde in serata la Francia, confermando l’impegno per aumentare «in modo sostanziale» le sue truppe in Afghanistan. Lo ha detto il portavoce della Nato James Appathurai, al termine della prima giornata del Vertice Nato.

Ucraina, cosa sono gli accordi di Minsk e possono essere la soluzione della crisi?

di Marta Serafini    sul “Corriere della sera” del 10 febbraio 2022

Nel 2015 Mosca e Kiev firmarono un cessate il fuoco che prevedeva anche le elezioni nelle regioni separatiste e il ritiro delle forze filo russe. Ma il protocollo non è mai stato del tutto implementato.

Mentre i leader mondiali si affannano per trovare una soluzione diplomatica alle tensioni tra Russia e Ucraina, si torna a parlare degli accordi di Minsk del 2015 come possibile via d’uscita dalla crisi. Il protocollo, noto anche come Minsk II (il primo era stato firmato l’anno precedente ma era fallito), è stato messo a punto nella capitale bielorussa nel tentativo di porre fine al sanguinoso conflitto nell’Ucraina orientale durato 10 mesi. Ma Minsk II non è mai stata completamente implementato e molte sono le questioni che restano irrisolte.

Chi l’ha firmato e cosa dice l’accordo?
In un raro incontro tra leader russi, ucraini, tedeschi e francesi nel febbraio 2015 si giunse alla fine dei combattimenti nelle aree dell’Ucraina che erano state conquistate dai separatisti filo-russi l’anno prima. Quelle aree, nella regione ucraina del Donbass , divennero note come Repubblica popolare di Luhansk (Lpr) e Repubblica popolare di Donetsk (Dpr). Minsk II, è stato firmato da rappresentanti di Russia, Ucraina, i leader separatisti e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Successivamente è stato approvato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La condizione era il cessate il fuoco. Nel febbraio 2015 c’erano stati ancora combattimenti in alcune aree tra le forze ucraine e i ribelli sostenuti dalla Russia, con gli ucraini che avevano subito pesanti perdite. Altro punto era il ritiro delle armi pesanti dal fronte, che sarebbe stato monitorato dall’Osce. Poi, la ripresa del dialogo per le elezioni locali nelle zone occupate dai ribelli filorussi. Il ripristino dei pieni legami economici e sociali tra le due parti, il ripristino del controllo da parte del governo ucraino sul confine con la Russia, il ritiro di tutte le forze straniere e mercenari e una riforma costituzionale per conferire una certa autonomia alle regioni della regione orientale del Donbass, in Ucraina, che non sarebbe stato più totalmente sotto il controllo del governo centrale di Kiev.

Come è andata a finire?
I combattimenti si sono effettivamente interrotti e gli osservatori dell’Osce sono intervenuti. Ancora oggi, l’Osce pattuglia le linee del fronte e segnala violazioni del cessate il fuoco lungo il confine. Risultato, ci sono molti meno combattimenti e meno vittime rispetto al 2014-15. Da questo punto di vista, l’accordo è stato, almeno, in parte rispettato. Tuttavia, ci sono 1,5 milioni di sfollati interni in Ucraina e quasi 14.000 persone sono morte nel conflitto.

Qual è il problema?
L’accordo di Minsk è stato concepito molto frettolosamente. La Russia, pur essendo un firmatario non ha mai riconosciuto il proprio ruolo nel conflitto. In effetti, la parola “Russia” non compare da nessuna parte nel testo. Da allora, questo ha permesso al Cremlino di sostenere di essere solo un osservatore e che l’accordo riguardi il governo ucraino e i ribelli nell’est del paese, nonostante le prove dimostrino che la Russia sostiene i separatisti. Kiev, nel frattempo, si rifiuta di parlare direttamente con i ribelli. Inoltre, il linguaggio dell’accordo è impreciso, con il risultato che Russia e Ucraina lo interpretano a seconda della convenienza. Kiev vuole riprendere il controllo del suo confine internazionale prima che si tengano le elezioni locali nelle aree controllate dai ribelli. Vuole anche che le forze russe se ne vadano. La Russia, ovviamente, d’altro canto sostiene di non avere forze nelle aree controllate dai ribelli. Inoltre Mosca vuole le elezioni mentre la regione è ancora sotto il controllo dei separatisti e prima che le autorità ucraine riprendano il controllo del confine. Gli sforzi dei diplomatici occidentali per trovare la quadratura del cerchio non sono mai giunti a un dunque. Inoltre lo status delle aree del Donbass in mano ai ribelli non è mai stato definito. Il punto di vista di Kiev è che la regione abbia lo stesso tipo di autonomia delle altre regioni ucraine, all’interno di una struttura federale. Mosca indica il riferimento allo «status speciale di alcune aree delle regioni di Donetsk e Luhansk» e lo interpreta come un permesso a queste regioni di avere le proprie forze di polizia e il proprio sistema giudiziario. D’altro canto qualsiasi governo ucraino accetti di concedere al Donbass lo statuto speciale non sopravviverebbe alla propria opinione pubblica. Nel 2015, l’allora presidente ucraino Petro Poroshenko ha presentato emendamenti costituzionali sul decentramento che sono stati aspramente contrastati dai gruppi nazionalisti ucraini. I disordini a Kiev hanno provocato la morte di tre agenti delle forze dell’ordine.

UCRAINA-RUSSIA, PER SAPERNE DI PIÙ

Come può tornare in vita l’accordo?
A distanza di otto anni, Mosca e Kiev perseguono due interpretazioni opposte del documento e la divergenza riguarda soprattutto la timeline: per il Cremlino vanno prima attuate le disposizioni politiche e poi quelle militari, per l’Ucraina il contrario. Kiev vuole che la Russia e quelle che ritiene le sue «forze per procura» si ritirino dall’Est in modo da riprendere il controllo del confine, solo allora è disposta a svolgere elezioni locali secondo standard internazionali e nel rispetto della legge ucraina; invece di concedere alle regioni separatiste uno status speciale come chiede Mosca, Kiev riconoscerebbe loro dei poteri extra, nell’ambito di un più ampio programma di decentramento. Questa interpretazione negherebbe al Cremlino la capacità di continuare a controllare i territori dell’Est e avere così voce in capitolo negli affari ucraini, con rappresentanti delle regioni filo-russe seduti al Parlamento nazionale e autorità regionali pronte a contrastare le politiche non gradite a Mosca, per esempio l’adesione alla Nato. La sequenza degli obblighi da adempiere, nell’interpretazione russa, prevede invece prima le elezioni locali e il riconoscimento dello status speciale del Donbass. Scenario inaccettabile per Kiev che rifiuta di trattare in modo diretto con le autoproclamate autorità separatiste, ritenute al pari di terroristi, e non accetta quello che sarebbe un voto sotto occupazione. Per ora, sulla sequenzialità degli obblighi, non si registrano ufficialmente ammorbidimenti. Da Mosca è arrivato diretto il monito all’Ucraina e agli Usa: qualunque revisione della sequenzialità degli accordi di Minsk, «rischia di far deragliare il processo di pace», ha avvertito il ministero degli Esteri russo. D’altro canto il presidente francese Emmanuel Macron vede l’accordo di Minsk come una rampa d’uscita e ha invitato Kiev e Mosca a rispettarlo. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato lunedì che gli Stati Uniti e l’Ucraina sono “uniti” nel sostenere gli accordi di Minsk come via da seguire per risolvere il conflitto. Ma ha anche accennato al fatto che l’accordo da solo non è una soluzione unica, evidenziando le sfide che l’accordo presenta. «Minsk non specifica alcuni problemi di sequenza quando si tratta dei passi che le parti devono intraprendere», ha detto Blinken, aggiungendo: «L’Ucraina si è avvicinata a questo in buona fede. Finora non abbiamo visto la Russia fare lo stesso».

Duncan Allan, membro associato del programma Russia ed Eurasia presso il think tank Chatham House di Londra, ha sintetizzato così il dilemma di Minsk: «L’Ucraina è sovrana, come insistono gli ucraini, o la sua sovranità dovrebbe essere limitata, come richiede la Russia?».