Lo studente che non sapeva vivere

Lettera al Preside: per l’angoscia ritornante della professoressa e dello studente

Caro Preside, quello che su tua richiesta mi sono proposta è un tema che non si può affrontare con distacco se si prende il toro per le corna. Riferisco allora una delle esperienze recenti con gli allievi “difficili”, ai quali mi piace dedicarmi. Sammy (Samuele) l’ho conosciuto diversi mesi prima di scoprire che sua madre era una mia buona conoscente, che stimo assai moralmente. Sammy mi aveva contattata (allora lavorava ancora nel call center) perché deve dare l’esame con me ma è molto indietro negli studi. Avevo capito che questo ragazzo voleva avvicinarsi a me, però non sapevo perché. Quando ho capito che Sammy è figlio di Thea, senza forzare, le ho permesso di raccontarmi la storia.

Sammy è figlio di due separati ultra-stravaganti, con vicende anche giudiziarie e penali, ovviamente di infimo livello sociale, che non avevano voglia di prendersi cura di lui. Quando aveva sei anni il tribunale ha deciso per l’affidamento, e così è stato allevato da Thea e da suo marito sebbene abbia sempre mantenuto e tuttora mantenga rapporti difficili con i genitori naturali. Nel percorso scolastico ha arrancato, ma infine è riuscito a diplomarsi. Si è iscritto a scienze naturali. Ha frequentato per un paio d’anni, poi ha mollato perché non gli piaceva e non sapeva più cosa voleva. È andato a lavorare in fabbrica, e c’è rimasto due anni. Ma sentiva che neppure quello era il posto giusto per lui, e i genitori “adottivi” letteralmente lo supplicavano di mettere a frutto le sue possibilità e di cercare di laurearsi. Così si è iscritto a Lingue da noi. Ha frequentato abbastanza intensamente, e per due anni, a ogni sessione ha preparato esami: lingua portoghese, glottologia, letteratura italiana e via dicendo. Ogni volta, il giorno dell’esame, non rispondeva all’appello. Ai suoi (affidatari) ha sempre detto la verità. Un giorno è venuto a sentire una mia conferenza dantesca, a Varese. Al termine di essa gli ho detto in modo molto gentile che se non fosse andato a fare l’orale di lingua portoghese sarei andata a casa sua, lo avrei acciuffato, lo avrei portato in Univ e avrei risposto per lui all’appello. Non ce n’è stato bisogno. Del resto, è ovvio, gli avevo detto quelle cose solo per lusingarlo, per farlo sentire importante e al centro dei miei pensieri. Ha fatto lingua portoghese e poco dopo glottologia con buoni risultati. Poi si è arenato di nuovo.

Recentemente ho incontrato Thea, molto compostamente disperata. Sammy non voleva fare nessuna delle “seconde lingue” previste nell’ordinamento del nostro corso di laurea in Lingue. Aveva deciso di dedicarsi all’apprendimento della lingua degli zingari suppongo rom, che viene effettivamente impartita in una sola Univ (credo Trento) ma che non gli sarebbe convalidata a Milano. Nessun progetto di vita era collegato a questa inclinazione, o, se si preferisce, a questo ricatto morale cui sottoponeva Thea e Luigi. Quando Sammy ha percepito che la madre mi aveva visto (eravamo andate insieme da Enzo Bianchi) ha espresso il desiderio di riparlare con me. Gli ho offerto di venirmi a trovare una sera a Varese a casa mia. Si è fermato a chiacchiera dalle 20.30 a mezzanotte. Io ero in vestaglia e avevo i capelli pieni di intrugli (mio figlio studiava nella stanza accanto). Ho tentato di metterlo davanti allo specchio (metaforicamente), di fargli capire che la storia degli zingari era una scemata pura. Gli ho detto che peraltro se desidera fare lo zingaro è liberissimo di farlo, e così pure se desidera fare il mendicante o il clochard. Gli ho promesso che avrei difeso a spada tratta questa eventuale scelta di vita davanti ai suoi genitori (affidatari). Mi ha spiegato di avere un grande interesse, che già sta coltivando, ma che a parer suo i suoi genitori affidatari gli scoraggiano vivamente (perché avrebbero paura che sia di ostacolo al compimento del percorso univ). Egli vorrebbe fare il doppiatore. Questo mestiere gli piace moltissimo. Sta già facendo alcune collaborazioni a Milano al doppiaggio sia televisivo che cinematografico, però ovviamente egli è per ora una figura di 2° o 3° livello e a stento guadagna qualche liretta. L’ho subito incoraggiato moltissimo; gli ho detto che quello del doppiatore è in effetti un bellissimo mestiere e che deve provarci a tutti i costi. Ho soggiunto che a parer mio la laurea in lingue è un’ottima preparazione a questo mestiere ma che allora è praticamente indispensabile che scelga come seconda lingua la lingua inglese.

“Professoressa, non mi piace la lingua inglese” “Ma Sammy, è la lingua di Shakespeare e di Emily Dickinson, non te ne rendi conto?” “Ecco, dopo un poco che mi dedico a imparare questa lingua, che in effetti non è brutta, comincio ad annoiarmi moltissimo. E se mi annoio è finita. Non riesco proprio ad andare avanti nello studio” “Sammy, ma non sempre tutto quello che facciamo può piacerci completamente dalla a alla zeta. Qualche volta dobbiamo rinunziare al piacere immediato in vista dell’obiettivo da conseguire, nel quale crediamo fortemente e per il quale dobbiamo imparare a sopportare un pochino di frustrazione. Nulla può spianarti la strada al mestiere di doppiatore tanto quanto una molto solida conoscenza della lingua inglese: di più, grazie a essa potrai andare dovunque, potrai farti capire da tutti; avrai molte più possibilità di sceglierti la vita che vuoi rispetto a quelle che possono esserti offerte da tutte le altre lingue, anche dal cinese o dall’arabo”. Alla fine ci siamo accordati che avrebbe per qualche settimana frequentato intensamente i diversi insegnamenti di lingua inglese (per capire quale docente gli piaceva di più: per lui è fondamentale che il docente gli piaccia) e forse anche lingua danese. Poi avrebbe tra questi insegnamenti scelto la sua seconda lingua (la prima è il portoghese).

Per riuscire a vincolarlo, a motivarlo tanto e proprio tanto, non era sufficiente la lunga predica che gli avevo fatto, ovvio. Ci voleva ben altro. “Sammy, ‒ gli ho chiesto – ma tu sai come mai sei qui stasera e come mai io prendo tanto a cuore la tua vita?” “Perché Lei è amica di mia madre” mi ha risposto. “Ah, no, Sammy. A me interessi tu, mi interessate Voi. Voi, che siete stati abbandonati e che non vi siete sentiti amati. Non sei il primo che incontro, fra gli studenti”. “Allora mia madre Le ha raccontato tutta la mia storia, proprio tutta?” “Proprio tutta non so, ma abbastanza perché io possa dirti: Sammy, io ho voluto incontrarti per mio egoismo, non fingo nemmeno per un istante di essere stata altruista. Ho bisogno di risarcire un pochino te per risarcire me stessa. Ascolta, io posso capirti davvero, e ti sono vicina davvero, so cosa c’è dentro di te e cosa hai provato: perché io sono una di voi, una che è stata abbandonata quando era bambina, una che ha subito due volte lo strappo terrificante”. “Ma che vuol dire? Lei ha dei fratelli, c’è suo figlio, fino a qualche anno fa c’erano i suoi genitori, quelli veri, cioè quelli naturali”. “Infatti a me tutto è successo nell’ambiente dei consanguinei. Vedi, mia madre abitava negli Stati Uniti con mio padre ma ci stava malissimo, non voleva restarci. Negli Stati Uniti si sentiva molto sola, le donne americane erano molto attive e capaci di fare tante cose, mentre lei sapeva solo cucinare, malgrado le sue due lauree, e poi le mancava molto l’ambiente sociale in cui era vissuta in Italia, la borghesia signorile, le cameriere. Non si sentiva capace di affrontare una vita di disagi e di sacrifici. Allora, dopo aver partorito in Italia il terzogenito tornò con lui negli Stati Uniti lasciando me e mia sorella in Italia, dagli zii paterni. Avevo quattro anni e mezzo e mia sorella ne aveva tre. Ricordo che per qualche settimana ogni giorno chiedevo agli zii: ma dov’è la mamma? E la zia rispondeva: ritornerà domani. Ogni sera la zia ci faceva dire le preghiere davanti alle fotografie. Così, poiché sapevo che quando i bambini restavano orfani si diceva loro che i genitori erano partiti per un lungo viaggio mi sono convinta che i miei fossero morti. Mia sorella e io ci siamo affezionate moltissimo a questi zii ultra-paesani, semi-analfabeti, di origini contadine. Erano estremamente affettuosi ed espansivi con noi, ci coccolavano moltissimo. Mi sentivo al sicuro, protetta, ero felice. Mia sorella e io ci siamo completamente dimenticate, in capo ad alcuni mesi, dei nostri genitori. Non ricordavamo nulla di loro. Gli zii avevano un piccolo oleificio, e noi due scivolavamo giù dai mucchi di sansa: che meraviglia!

Dopo un anno e mezzo dalla partenza della mamma, un giorno orribile, lei è tornata, incinta del quarto e con il terzo di quasi due anni, che aveva sempre tenuto con sé e che parlava solo americano. Due settimane dopo è arrivato anche papà. Questi sconosciuti hanno preso mia sorella e me e ci hanno portato subito a mille km di distanza dagli zii e dal nostro mondo. Siamo arrivate a Ispra, dove si parlavano tutte le lingue dell’allora CEE e i “genitori” ci hanno ficcato alla Scuola Europea, dove c’erano sezioni e ragazzini francesi, tedeschi, olandesi, belgi, lussemburghesi e anche inglesi. La parola strazio non basta. Pensavo tutti i giorni alla morte. Volevo solo morire. La mamma ora aveva la bambinaia e la cameriera, ma non riusciva a trattarci con affetto perché per lei, abituata alla signorilità, mia sorella e io eravamo due esseri rozzi, goffi, volgarucci. Si è fatta un punto d’onore di disfare tutto ciò che della nostra esperienza presso gli zii era sedimentato in noi. Quando sono diventata adolescente è arrivata l’anoressia, poi la bulimia.

Sammy, credimi, per quelli come noi, come te, come me e come tanti altri il problema è sopravvivere. Ogni giorno dobbiamo impegnarci a sopravvivere. Nessuno può amarci come noi vorremmo essere amati, perché ci portiamo dentro un desiderio d’amore immenso, non colmabile. Vedi, i miei fratelli maschi si sono allontanati da mia sorella e da me. Noi abbiamo sempre la morte davanti agli occhi e al tempo stesso amiamo la vita intensamente, più intensamente degli altri. Però sappi che nessuno è tanto capace quanto noi di cogliere e apprezzare i piccoli piaceri gentili che la vita può dare. Agli altri paiono cose banali. Io resto sempre stupefatta e grata tutte le volte che riesco a instaurare un buon rapporto con qualcuno o a fare qualcosa di piacevole: la sciata, il week end in un bel posto, il contatto con la natura incontaminata. Se imparerai ad impegnarti un po’ in vista di obiettivi seri anche tu imparerai ad apprezzare tutte le piccole cose belle della vita e a trarne tanta gioia. E poi verranno le gioie molto grandi: una donna a cui voler bene, i figli, che sono il dono più bello che la vita faccia agli esseri umani”.

“Professoressa, io non voglio formarmi una famiglia. Non voglio né una compagna né dei figli. Dopo le esperienze che ho fatto ne ho troppa paura, io rifiuto la possibilità della famiglia” “Lo capisco benissimo, anche se davvero spero tanto, proprio tanto, che una fanciulla gentile prima o poi sappia darti comprensione autentica. Per farti sentire la mia comprensione autentica ti ho detto che la scelta di fare lo zingaro o quella di fare il clochard sono scelte pienamente rispettabili e che ti appoggerò strenuamente se quella è la tua strada. Lo confermo. Però, vedi, se sei qui da me è perché tu non vuoi imboccare quella strada. Sammy, cerca di capire cosa vuoi a breve e medio termine e cerca di capire che devi smettere di far pagare a Thea e al babbo quello che ti hanno fatto gli altri genitori, quelli naturali. È difficilissimo, lo so, perché è come un istinto che si è solidificato, è come uno degli strati della tua personalità. Sammy, ti prego, smettila di essere masochista, smettila di farti tutto il male che ti fai: per me, per noi, tu vali moltissimo e ci vai benissimo come sei; ma per te stesso devi cercare di imparare a costruire qualcosa. Solo così potrai sopravvivere. Io, forse, non sarei sopravvissuta senza i miei filosofi e soprattutto senza i miei poeti e senza la ricerca scientifica. Sai, a dire il vero, per almeno 18 anni ho versato su mio figlio le mie energie migliori. Dovevo amarlo, aver cura di lui, farlo crescere secondo una impostazione educativa coerente e dovevo riuscire a trattenermi dal fargli pesare l’immensità del mio amore. Sapevo che rischiava di esserne soffocato e di diventare una persona disturbata. Credimi, è stata una impresa erculea, e non è riuscita del tutto, diciamo che è riuscita a due terzi. Sammy, sei entrato nella mia vita, ci sei voluto entrare, e ora sono io che ho bisogno di te. Ho bisogno che tu ti prenda delle responsabilità nei miei confronti, ho bisogno di vederti maturare. Ti prego, promettimi che ci proverai”. “Professoressa, non mi aspettavo che sarebbe stata una serata così. Capisco che il suo interesse per me è sincero e profondo. Ho bisogno di qualche giorno, forse di un paio di settimane per ripensare a tutto questo e per capire cosa voglio fare”. “Va bene, ma non mi abbandonare; guarda che a dicembre ti aspetto all’esame, e prima voglio che tu venga nel mio studio a fare delle prove di parafrasi: di Dante soprattutto, ma anche di Petrarca e di Tasso”.

Sammy e io oggi ci siamo sentiti; mi ha detto che verrà fra tre settimane, il giorno del mio compleanno. Non sono scema, so che recuperarlo a una vita normale è impossibile e forse neppure completerà il triennio. Forse farà lo zingaro o il clochard, almeno per un periodo. Noi, quelli che non si sono sentiti amati, siamo sempre in fuga, la nostra vita è costitutivamente centrifuga. L’obiettivo, difficilissimo, per ora è solo che impari a emanciparsi da Thea e dal babbo, i quali lo adorano; poi, se possibile, che trovi il coraggio di fare l’esame di coscienza e di guardarsi attentamente allo specchio più spesso. Speriamo. Diversi giovani bipolari li ho perduti irrimediabilmente. La malattia toglieva loro ogni possibilità di autostima, e così non riuscivano a lavorare. Diversi giovanissimi fragili, con problemi rivelatisi lievi malgrado sintomi vistosi, sono invece riusciti ad andare avanti e a concludere. Bisogna sempre provarci.

Grazie per aver voluto capire delicatamente. Non me lo aspettavo da parte di un Preside.

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