Storia di un giovane salvadoregno: Brian

STORIA DI BRIAN

Dieci giorni fa sono andata al funerale di Brian. Aveva 37 anni. Lo avevo conosciuto 19 anni prima. Sua madre Elsy faceva lavoretti a casa della mia. Elsy teneva con sé clandestina la figlia minore, 8 anni, che però frequentava regolarmente la scuola italiana. Elsy fece arrivare anche Brian. Egli era già in clandestinità quando Elsy mi chiese se potevo fare qualcosa per lui. Lo feci venire e gli feci spostare un po’ di mobili della mansarda in cui abitavo. Era forte e molto accurato. Decisi di fare il possibile. Usai come tanti la LEGGE BOSSI/FINI. I più esperti tra i magistrati colleghi di mia sorella consigliarono che lo assumessi io come badante di mia madre; così, se fosse arrivato un controllo, si sarebbe potuto dire: “È uscito per andare a comprare medicine alla signora, ma torna subito”. La mia mamma fu d’accordo. Andai con lui e tanti documenti in Prefettura. Quello prima di noi nella fila era un 50nne aitante che voleva regolarizzare come sua colf una procace rumena mezza nuda. Prostituzione, certo; ma il poliziotto non poté farci nulla. Brian fu da me assunto. Gli rilasciarono il documento provvisorio in attesa del Permesso di soggiorno. Fine della clandestinità. Gli trovai lavoro come uomo delle pulizie presso diverse ottime famiglie. Lo seguivo dal punto di vista sanitario e da tanti altri. Una sera tardi fu portato in questura dalla polizia, chiamata per sedare una rissa, perché era uscito senza il permesso provvisorio. Sua madre era disperata. Al mattino andai in questura con tutti i documenti. I questurini: “non possiamo ridarglielo subito, occorrono altri accertamenti”. Allora ebbi la idea più intelligente che mai abbia avuto: “mia madre cade spesso e Brian è il solo che abbia la forza di rialzarla. Se mia madre oggi cade la responsabilità è vostr…”. Non avevo finito di dire “vostra” che i questurini mi avevano scodellato Brian, tutto pesto per le botte che gli avevano dato. Appena arrivò il permesso di soggiorno Brian poté licenziarsi e trovò lavoro come operaio. Era felice. Lo vedevo ancora spesso. Lui e suoi parenti salvadoregni facevano per me lavori pesanti (sgombero cantina ecc.). Poi arrivò la GRANDE CRISI. Fu licenziato. Non trovava niente. Dopo 3 anni così stava per scadergli il permesso di soggiorno. Per evitargli la espulsione lo riassunsi. Questa volta come badante mio. Mio figlio, avvocatino con deformazione professionale: “Mamma, è illegale!   Non hai i soldi per stipendiarlo”. “Non importa. Ho promesso a lui che pagherò i contributi. Così l’INPS e lo Stato non avranno nulla da obiettare, ci guadagnano e basta. In cambio egli farà per me dei lavoretti”. Mio figlio rideva a crepapancia: “Finirai in galera ma ti daranno l’attenuante dei nobilissimi motivi”. Passammo così altri due anni. Non trovava nessun lavoro. Non aveva mai un centesimo in tasca. Vendette il motorino. Facevo il possibile. Ogni pretesto era buono per far fare a Brian dei lavoretti per me onde dargli almeno i soldi dei contributi (avevo dichiarato 20 ore: contributi pesanti per il mio portafoglio: la sua famiglia dovette contribuire, poveracci com’erano). Dopo tanti tentativi di lavorare come operaio falliti (volevano, i cari datori di lavoro, solo sfruttare la sua disperazione) finalmente arrivarono delle supplenze come inserviente addetto alle pulizie presso l’Ospedale di Somma Lombardo. Fu sufficiente a far sì che potesse avere 20 ore in regola. Continuavo a vegliare. Finalmente ebbe un nuovo buon lavoro come operaio. Non ci vedevamo più. Gli uomini ti lasciano perdere quando non hanno ragioni forti per coltivare i contatti. Però mi tenevo informata. Appresi che si era sposato con una connazionale. Che gioia! Poi, 6 mesi fa, la diagnosi maledetta: cancro al polmone. Nessuno scampo. Gli hanno prolungato la vita quanto più possibile. Era sereno. Sapeva. Venne licenziato, ovviamente, ma fu subito contattato dall’ufficio cittadino per gli indigenti. Gli dettero con urgenza il reddito di cittadinanza. Sono andata a trovarlo in ospedale, dove gli davano la morfina. Telefonavo: che bello sentire ancora la sua voce. È tornato a casa sua per morire, quel sabato del febbraio 2020, accanto a moglie, figlioletto e fratelli. Il funerale è stato allegro, davvero. Sua madre, poverina, era ormai adorante nei miei confronti. Addio caro Brian che sei stato come un nipote. Mi hanno scritto che è una storia triste ma che è una bella storia. È vero; è una bella storia triste. Tutti erano ormai preparati, eravamo preparati. Ma sentiremo per sempre la mancanza di Brian, della sua giovane vita.

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