Le proposte di riforma Concorso in magistratura, abbassare la difficoltà degli scritti è una soluzione fallimentare Giuseppe Di Federico — 28 Dicembre 2021 su “Il Riformista”

Non condivido tutto quello che scrive l’articolista qui sotto, ma la tesi centrale sì: la magistratura è uno dei tre poteri dello stato e richiede persone di livello altissimo anche perché diversamente da Parlamento e Governo essa è da tutti equidistante. Il parlamento e il governo nel Belpaese sono spesso formati da impresentabili (Salvini sarebbe presentabile in Germania?) e da pregiudicati (tale il Berlusca: e non dimentichiamo che per il reato di corruzione di un avvocato inglese non venne prosciolto; ma era sicuramente più che colpevole, perché l’avv inglese era reo confesso. Ma l’orribile Ghedini fece scivolare in prescrizione la cosa). Ecco l’articolo

Alcuni giorni fa ho letto sul Sole 24 Ore un articolo dal titolo “L’università deve farsi carico della preparazione al concorso da magistrato”. È scritto da un professore universitario, Gian Luigi Gatta, che è, come lui stesso dice, consulente della Ministra Cartabia e componente del Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura. Affronta due temi di grande importanza, uno riguarda le disfunzioni del concorso di ingresso in magistratura e l’altro il ruolo che l’università dovrebbe avere nella preparazione dei candidati a quel concorso. Quanto al primo tema egli fa riferimento ai dati di due concorsi di cui uno, quello bandito nel 2019 è in corso di svolgimento.
Dopo aver ricordato che i concorsi non forniscono tutti i magistrati che sono necessari, indica che in un recente concorso la percentuale dei promossi agli esami scritti è stata molto bassa (9,7% degli esaminati) e la percentuale dei promossi ai successivi esami orali è stata molto alta (94%). Propone, quindi di diminuire la difficoltà degli scritti e di aumentare quella degli esami orali. Trovo apprezzabile che un professore di diritto utilizzi cifre e percentuali in un suo scritto (siamo in pochissimi a farlo) tuttavia in questo caso, come in altri, i numeri non dicono tutto ed è rischioso trarre conclusioni solo da essi. Certamente non è vero che negli esami scritti si applichino criteri valutativi severi e tantomeno che sia consigliabile diminuirne il rigore. Per quanto i numeri citati del Prof. Gatta sembrino indicarlo, non è così. Lui stesso ci dice che spesso il numero dei vincitori del concorso è inferiore, anche di molto, al numero dei posti messi a concorso, e quindi che il concorso non è in grado di soddisfare le esigenze di personale togato del nostro sistema giudiziario. È un problema che il concorso ha da moltissimi anni.
Nel tentativo di risolverlo, e cioè per consentire ad un numero maggiore di candidati di superare le prove scritte, un decreto di molti anni fa, il DPR n. 617/1963, ha stabilito che le commissioni di concorso non debbono più bocciare i candidati per l’insufficienza in una delle tre prove scritte, ma effettuare una valutazione complessiva delle tre prove. Come conseguenza il numero di coloro che dopo di allora ottennero la votazione minima di 36 su 60 aumentò subitaneamente, e cioè dall’1,7% dei 1737 magistrati reclutati nel periodo 1955-1963 al 31,4% dei 2670 reclutati nel periodo 1967-1982. Consistente quindi il numero di magistrati che da allora sono stati ammessi agli orali pur non avendo ottenuto la sufficienza in tutte e tre le prove scritte. Nonostante questo, i concorsi continuarono spesso a non fornire un numero di magistrati pari al numero dei posti messi a bando. Col passare degli anni il numero degli ammessi all’orale col minimo dei voti è aumentato arrivando a superare, e non di poco, il 40% (cioè circa la metà dei nuovi magistrati), come avvenuto per i 680 magistrati assunti nel 2018 e 2019 (D.M. 2 febbraio 2018 e D.M. 8 febbraio 2019).
Aggiungo che due magistrati che sono stati presidenti delle commissioni di concorso, Corrado Carnevale e Nicola Lipari, hanno indicato che vi sono numerosi casi in cui le prove scritte vengono superate con la piena idoneità in una sola delle tre prove scritte, e nelle relazioni ufficiali dei concorsi da loro presieduti, hanno usato il termine “stampellati” per indicare coloro che erano entrati in magistratura con due stampelle. Le proposte di riforma del Prof. Gatta certamente indicano un problema reale, cioè quello di evitare che il numero dei vincitori sia inferiore, o troppo inferiore, al numero dei posti banditi. È una preoccupazione che permea di sé i lavori di molte delle commissioni di concorso anche negli esami orali, ma mi fermo qui perché mi sembra chiaro che il suggerimento del prof. Gatta di rendere meno rigorose le prove scritte sia già stato tentato molti anni fa: ha certamente ridotto il rigore delle valutazioni senza raggiungere gli obiettivi voluti.
Due postille. La prima: la riforma del reclutamento è un problema complesso che deve affrontare in primo luogo la scarsa attendibilità delle prove di concorso nel misurare le conoscenze dei candidati, come le nostre ricerche hanno mostrato sin dagli anni 1980 (Archivio Penale 2020, n.1). Un problema che può essere affrontato solo modificando la struttura delle prove di esame, un fenomeno che non è certo possibile trattare in questa sede.
La seconda postilla: non mi sarei dato la briga di scrivere questo articolo se il prof. Gatta non avesse voluto informarci di essere il consulente della Ministra Cartabia. Anche se non richiesto, ritengo sia sempre opportuno dare una mano per tentare di evitare il peggio nella gestione del nostro già disastrato ordinamento giudiziario.
Giuseppe Di Federico