Ruolo e peso dei singoli Paesi occidentali nella ricostruzione dell’Ucraina

Scenari

Ucraina, la ricostruzione vale 750 miliardi. Ecco la mappa della «spartizione»

Rendo leggibile a chi vorrà questo articolo de Il Sole 24 ore. L’Italia (cioè le imprese italiane) marginalizzata allo stato attuale nell’impegno per la ricostruzione della Ucraina. Eccoci alle prime conseguenze delle dimissioni di Draghi provocate da 5Stelle seguiti da Lega e F.I. Eppure l’ambasciatore italiano in Ucraina è stato forse il più bravo, il più coraggioso, il più efficiente tra tutti gli ambasciatori.

Il ruolo defilato della Cina e delle sue grandi imprese rende la ricostruzione un’occasione ancora più interessante e redditizia per gli altri Paesi. Ma la corruzione rischia di far naufragare il rilancio ucraino

in La guerra in Ucrainasegui

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di Roberto Bongiorni

5 agosto 2022Aggiornato circa 2 ore fa

5 min

Illustrazione di Andrea Marson/Il Sole 24 Ore
Illustrazione di Andrea Marson/Il Sole 24 Ore

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Nel Risiko della ricostruzione le bandiere sono già apparse. Gli inglesi nella regione della capitale Kiev. Americani e turchi a Kharkiv, seconda città dell’Ucraina. A Nord, i tedeschi a Chernihiv e i canadesi a Sumy. A Sud i danesi a Kherson, i belgi a Mikolaiv ed i francesi a Odessa, in compagnia degli svizzeri. Gli italiani, infine, nel Donetsk, regione del Donbass (per metà occupata dai russi), dove la guerra ancora infuria.

Progettare la ricostruzione di un Paese quando ogni giorno missili e tiri di mortaio radono al suolo edifici, colpiscono ponti, strade e ferrovie, riducono in macerie fabbriche e scuole, può apparire un’operazione azzardata, un salto nel vuoto. Eppure la più grande ricostruzione dopo quella seguita alla II Guerra Mondiale si sta già pianificando ancor prima che finisca il conflitto. Non solo per la volontà del Governo ucraino, ma anche per l’insistenza e la determinazione di quei Paesi, soprattutto europei, i quali, dopo aver offerto sostegno politico e militare a Kiev, intendono cogliere un’occasione irripetibile.

Il business d’altronde è molto ricco: 750 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, ha annunciato, forse calcando la mano, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante la Conferenza di Lugano, lo scorso 4 luglio, in cui è stato presentato il piano di ricostruzione dell’Ucraina.

LA SPARTIZIONE PER RICOSTRUIRE L’UCRAINA

Quel giorno Ugo Poletti, direttore dell’Odessa Journal, lo ricorda bene. «Quando il primo ministro ucraino Denis Shmigal ha mostrato una mappa con le regioni assegnate ai diversi Paesi coinvolti in quest’operazione di rilancio non volevo crederci. Il ruolo dell’Italia era marginale. Le veniva segnata la regione nordoccidentale di Rivne, un’area dove c’era poco o nulla da ricostruire. E, quasi per compensare, la zona di Donetsk, distrutta, ma sotto occupazione russa».

Italia in ritardo sui Paesi concorrenti

Trasferitosi cinque anni fa nella più grande città portuale ucraina, su cui di recente ha pubblicato il libro “Nel cuore di Odessa”, Poletti è rimasto per tutta la durata del conflitto nel Paese e da alcuni mesi sta studiando il processo di ricostruzione. «Tutto ciò non rispecchiava il peso diplomatico ed economico dell’Italia, soprattutto con la regione di Odessa, dove l’Italia potrebbe ritagliarsi un ruolo di primo piano». Invece, forse per ritrosia, forse per una timidezza già mostrata in passato quando si tratta di investire in Paesi instabili, l’Italia pare in ritardo rispetto a molti concorrenti che, sulla carta, hanno meno chances.

Le visite e l’insistenza dell’ex premier britannico Boris Johnson hanno dato i loro frutti. Come quelle di altri capi di Stato. Ma fortunatamente per ora si tratta di una bozza. Suscettibile di modifiche, anche ampie. «L’Italia sta guadagnando il terreno perduto. Occorre tuttavia un impegno a 360 gradi per facilitare ed incentivare la presenza delle nostre imprese. Il ruolo che potrà esercitare il Governo sarà decisivo: francesi e tedeschi offrono alle imprese private coperture assicurative molto generose . A condizione che si rispettino alcune regole. Ora si tratta di trovare lo strumento finanziario che invogli le aziende italiane ad assumersi questo rischio».

Il ruolo delle aziende turche e gli obiettivi di quelle Usa

Si può facilmente intuire il ruolo centrale che stanno portando avanti le aziende turche. Ci si domanda invece come la bandiera di piccoli Paesi possa sventolare in città strategiche. Ma scavando una spiegazione la si trova spesso. La Danimarca è una potenza marittima, ha molti investimenti sulla logistica dei trasporti via mare. Ha quindi ottenuto Kherson, ancora sotto occupazione russa. Il Belgio Mykolayiv.Entrambe le città portuali possiedono grandi cantieri navali. Ogni assegnazione ha una sua ragione.

Ma perché gli Stati Uniti a Kharkiv, pochi chilometri dal confine russo? Questa regione rappresentava il fiore all’occhiello dell’industria aerospaziale e bellica di tutta l’Unione Sovietica. Qui si producevano missili e componentistiche aerospaziali. Forse gli Stati Uniti non vogliono che una regione strategica finisca nelle mani sbagliate. Quando il Governo di Kiev mise in vendita l’azienda statale Motor Sich, uno dei maggiori produttori mondiali di motori per aerei, gli americani sono intervenuti impedendo che questo gioiello dell’industria ucraina finisse in mano ai cinesi.

E proprio l’assenza, o comunque il ruolo piuttosto defilato della Cina (alleata di Mosca), e delle sue grandi imprese, renderà questa ricostruzione un’occasione ancora più interessante e redditizia per gli altri Paesi.

La “sorpresa” di Odessa assegnata a Francia e Svizzera

La storia della regione di Odessa è forse la più interessante. L’assegnazione alla Svizzera e alla Francia della più multietnica delle città ucraine ha sorpreso gli osservatori. Certo, la Svizzera ospita grandi aziende che operano anche in Ucraina. Per esempio la Msc, il più grande player del Mediterraneo, una società di capitale italiano con sede Ginevra. Anche operatori portuali ucraini, come la Risoil attiva nel porto di Cornomorsk.

«I francesi sono nostri concorrenti, anche se minori, nel Mediterraneo. Bisogna riconoscere che l’ambasciatore italiano a Kiev Pierfrancesco Zazo ha lavorato assiduamente per valorizzare il ruolo dell’Italia nel futuro dell’Ucraina. Soprattutto in riferimento alla regione di Odessa».

D’altronde questa storica città portuale potrebbe rappresentare la regione perfetta per le imprese italiane. «Dai suoi sette porti, che peraltro generano un indotto di aziende che forniscono attrezzature portuali e macchinari per movimento merci, transita l’80% dell’export ucraino. L’Italia ha i più grandi porti del Mediterraneo. Vi sono poi i cantieri navali, senza contare i traghetti». Riveste poi una grande importanza il potenziamento della rete ferroviaria. Il sistema ferroviario ucraino è rimasto fermo all’epoca sovietica. Lo scartamento dei binari non compatibile con le ferrovie europee.

Corruzione “nemico pubblico n. 1”

Problemi di non facile soluzione. Ma un altro nemico dell’Ucraina, più infido di quello che preme sui confini e bombarda dai cieli, rischia di far naufragare il rilancio del Paese: la corruzione. La Commissione Europea, decisa ad assumersi un ruolo guida, ha proposto una piattaforma – Rebuild Ukraine – deputata alla supervisione, insieme a Kiev, della ricostruzione. Coordinerebbe gli aiuti dell’Ue e dei suoi membri, di altri Paesi (tra cui Usa, Gran Bretagna, Canada, Giappone e Corea del Sud) e di istituti di credito internazionali come Fmi, Banca Mondiale e Bers.

«Ci sono già stati esempi virtuosi di aziende turche e tedesche che , per evitare problemi di corruzione e amministrazione, hanno creato consorzi avvalendosi anche della competenza di Bei e Bers. Vi sono già strumenti giuridici che pare abbiano funzionato», conclude Poletti.

I Paesi donatori hanno promesso fondi «per aiutare una nuova Ucraina a risorgere dalle ceneri della guerra», ha detto il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni. Ma potrebbero essere insufficienti a finanziare questo nuovo piano Marshall. Il Governo di Kiev una soluzione ce l’avrebbe: utilizzare gli assets degli oligarchi russi (300-500 miliardi di dollari) confiscati o congelati dai Paesi occidentali. Più facile a dirsi che a farsi. La Svizzera, che detiene 214 miliardi di dollari di assets russi – è apparsa subito poco convinta a causa anche della battaglie legali. Così come alcune grandi economie europee. Il costo totale della ricostruzione, poi, resta un’incognita. La cifra esatta si conoscerà solo quando la polvere sollevata dai bombardamenti si depositerà a terra. Nessuno, però, può dire quando avverrà.