Un documentatissimo articolo de “Il Sole 24 ore” dimostra che sotto i governi di destra le tasse sono sempre salite negli ultimi decenni, mentre scendono sotto quelli etichettati come sinistra

Siamo alle solite: le stramaledettissime teste ignoranti e idiote degli Italiani si preparano ad assestare un colpo e a spazzar via tutto quello che di buono ha fatto per questo Paese Draghi, con l’aiuto encomiabile dei suoi ministri. Da settimane gli idioti mi ripetono: Draghi è un banchiere, a lui interessa far fare soldi alla finanza internazionale e guadagnarci lui!

Vorrei tanto, proprio tanto che questa feccia precipitasse nell’Averno. Come si fa a ostinarsi a non vedere? Draghi è stato un premier che senza esibizioni ha dimostrato di avere a cuore moltissimo ceti e famiglie piegate dalla pandemia e poi dalla invasione russa della Ucraina. I tre partiti grandicelli di destra e Conte, dal quale sempre è sprizzato veleno rancoroso contro Draghi: questi soggetti hanno consapevolmente impedito a Draghi di distribuire l’ultima tranche di denaro per sostenere i più deboli (sotto forma di accrescimento della paga o della pensione). Vogliono papparseli loro qs denari? non ne sarei davvero stupita. Ho scritto sopra “come si fa ad ostinarsi a non vedere'”. Ma no, i beceri un po’ ci vedono, però sanno che la destra ed essa soltanto è la grande protettrice della evasione fiscale, e loro vogliono evadere, vogliono campare alle spalle della gente onesta. Loro purtroppo sono tanti, tantissimi.

In ogni modo, ecco qui sotto l’articolo del Sole 24 ore, organo della Confindustria e in genere di tutta la imprenditoria italiana:

Opinioni

Perché solo i governi liberali e riformisti riescono a ridurre le tasse

Nella storia del nuovo secolo non è mai accaduto che governi di centro-destra o esecutivi con una importante quota di partiti di centro-destra nella compagine di maggioranza, siano riusciti a ridurre il tax rate

Servizio

di Marco Fortis

26 agosto 2022

4 min

Illustrazione di Giorgio De Marinis/Il Sole 24 OreAscolta la versione audio dell’articolo

È singolare come a ogni avvio di campagna elettorale i politici italiani “riscoprano” l’importanza dei ceti produttivi, del popolo delle piccole e medie imprese, degli artigiani, dei piccoli negozianti e delle partite Iva. E si lancino nelle promesse più disparate per accattivarsi le simpatie di questa importante fetta di elettorato. La promessa più ricorrente – e ormai ripetuta fino alla noia – è quella di una rivoluzionaria riduzione della pressione fiscale, presentata sempre come una manovra tutto sommato facile da realizzare, quasi che il nostro Paese avesse margini finanziari amplissimi e non invece ristrettezze conclamate di bilancio a causa del suo elevato debito pubblico.

Cavallo di battaglia del centro-destra

La promessa di un abbassamento rilevante di imposte e tasse è soprattutto un cavallo di battaglia del centro-destra. Ma nella storia del nuovo secolo non è mai accaduto che governi di centro-destra, come i governi Berlusconi II, III e IV, o esecutivi con una importante quota di partiti di centro-destra nella compagine di maggioranza, come il governo Conte I sostenuto dalla Lega, siano riusciti a ridurre il tax rate. I dati Istat sono chiari. Durante i governi Berlusconi II e III (dal 2001 al 2006) il valore medio annuo del tax rate è salito dal 39,9% al 40,1% del Pil. Durante il governo Berlusconi IV (dal 2008 al 2011) è passato dal 41,2% al 41,3 per cento. Durante il governo lega-stellato Conte I (dal 2018 al 2019) il tax rate è addirittura balzato dal 41,7% al 42,3% in un anno.

Il primato dei governi liberal-riformisti

È invece un dato di fatto che negli ultimi venti anni prima del Covid-19 gli unici governi che siano riusciti a ridurre il tax rate senza pregiudicare i conti pubblici, anzi migliorandoli, sono stati i governi liberal-riformisti di Renzi e Gentiloni. Il governo Renzi (dal 2014 al 2016) ha ridotto il tax rate di 1,2 punti percentuali (senza contare gli 80 euro, stimabili in un ulteriore calo indiretto della pressione fiscale dello 0,6%) rispetto al massimo storico del 43,4% del governo Letta, abbassando il rapporto al 42,2 per cento. Il governo Gentiloni (nel 2017) ha ulteriormente ridotto il tax rate di 0,4 punti, portandolo al 41,8 per cento. Il balzo più forte della pressione fiscale è stato invece raggiunto durante il governo Monti: infatti, nel 2012 il tax rate è aumentato di 2 punti percentuali, dal 41,3% dell’anno precedente al 43,3 per cento. Ma almeno Monti non aveva promesso di ridurre le tasse, anzi le ha dovute alzare per rispondere alla crisi di credibilità internazionale in cui era piombata l’Italia.

Non sfuggirà ai lettori che coloro che oggi propongono acrobatiche flat tax senza copertura (o che le avevano già promesse in passato) alla prova dei fatti non hanno mai realizzato nelle loro esperienze di governo alcun risultato concreto in termini di riduzione delle imposte e delle tasse, il che non depone certo a favore della loro credibilità in questo campo.

Risultati economici deludenti

Un altro tema chiave è quello dei risultati economici conseguiti. Come abbiamo illustrato il 12 agosto su queste colonne (“Riforme, sviluppo da 78 miliardi per l’Italia”), solo con le riforme e con politiche mirate per lo sviluppo l’Italia è riuscita a tornare a crescere negli ultimi anni. Nelle fasi recenti di maggiore espansione della nostra economia – cioè durante i governi Renzi, Gentiloni e Draghi – il rilancio e la difesa del potere d’acquisto delle famiglie e l’aumento degli investimenti sono stati messi al primo posto tra gli obiettivi da raggiungere. I risultati conseguiti si sono fondati su programmi e interventi non soltanto efficaci, ma anche compatibili con lo stato delle nostre finanze pubbliche. Assai deludenti, sotto il profilo dei risultati economici, sono invece state le esperienze degli ultimi anni dei governi di centro-destra o sovranisti-populisti, nonostante le notevoli risorse pubbliche distribuite a pioggia.

Anche il “corteggiamento” dei ceti produttivi in campagna elettorale dovrebbe essere valutato in termini di risultati effettivi, sulla base di dati precisi. D’accordo essere vicini a parole ad artigiani, aziende manifatturiere, ristoratori e albergatori. Ma durante i vari governi, come sono andate le dinamiche economiche di questi ceti produttivi?

La riprova delle analisi settoriali

Prendiamo il caso di due settori pilastro dell’economia italiana per i quali sono disponibili dati puntuali trimestrali sul valore aggiunto: l’industria manifatturiera e l’aggregato commercio, trasporti, alloggio e ristorazione. Durante quali governi questi settori sono cresciuti di più?

Per capirlo svolgeremo un’analisi retrospettiva sull’andamento economico dei due settori citati coprendo gli ultimi dieci governi, dal Berlusconi II fino al governo Draghi, escludendo il Conte II, la cui esperienza non è comparabile dato l’impatto della pandemia.

La tabella sintetizza i risultati del nostro fact checking. Durante i governi liberal-riformisti (Prodi II, Renzi, Gentiloni, Draghi) il valore aggiunto complessivo di manifattura, commercio, trasporti e magazzinaggio, alloggio e ristorazione è cresciuto in Italia di 149 miliardi di euro a valori concatenati 2015, prendendo come riferimento gli ultimi dodici mesi dei governi precedenti (il 2020 nel caso del governo Draghi). Aggiungiamo che i risultati del governo Draghi sono parziali, mancando ancora i dati dettagliati del secondo trimestre 2022, che è stato molto positivo.

I governi di centro-destra (Berlusconi II, III e IV) hanno fatto registrare un arretramento del valore aggiunto complessivo dei due settori di 26,9 miliardi, mentre durante i governi dell’austerità il calo è stato di 20,6 miliardi. Infine, durante il Conte I, il valore aggiunto di manifattura, commercio, trasporti e turismo è cresciuto di appena 5,4 miliardi.

Proclami e promesse mancate

Dunque, anche se tutti i partiti nei loro proclami dicono di voler sostenere i ceti produttivi e di essere i più autentici paladini dell’Italia che lavora, la storia degli ultimi 22 anni dimostra che i canti di molte sirene che ancora oggi tengono banco nell’agone politico in passato non hanno affatto generato la crescita promessa. Dopo anni di ripetute delusioni, di fronte alla nuova ondata di promesse irrealizzabili a cui stiamo assistendo in questi giorni, gli unici parametri non ingannevoli a cui gli elettori dovrebbero guardare per orientare le loro scelte di voto dovrebbero essere, oggi più che mai (soprattutto dopo aver visto il presidente Draghi all’opera): credibilità, competenza, idee chiare e coraggio e capacità di tradurle in azioni efficaci di politica economica.