Putin: progetto politico neo-imperialista e determinazione, per fare cassa, a impadronirsi della ricca regione del Donbass

È molto doloroso doverlo ammettere ma qui in Italia non soltanto pochi ingenui ignoranti ma anche parecchie persone laureate e sempre vissute in ambienti di laureati  hanno creduto alla storiella scema di Putin secondo cui, essendosi la NATO espansa a est fino alle frontiere della Confederaz russa, la sicurezza della Russia era in pericolo. Da qui –secondo Putin – la necessità di invadere l’Ucraina per impedire che diventasse NATO essa pure.Tutti abbiamo sentito dire le peggiori stupidità circa il “povero Putin” minacciato dalla NATO. Certo, solo i “sono senza cervello” hanno creduto davvero che l’ampio gruppo russofono delle autoproclamate repubbliche del Donetsk e del Luhansk, nelle quali Putin ha alimentato 8 anni di guerriglia spacciata per guerra civile; solo gli sciocchi hanno creduto che i russofoni fossero anche russofili. Sappiamo ormai che Putin ha corrotto quanti più russofoni possibile e ha piazzato alla vigilia della sanguinaria invasione dell’Ucraina i notabili da lui corrotti a capo delle dette repubbliche. Ormai i suoi obiettivi sono chiari a tutti.

Sintetizzo come posso i precedenti di questi obiettivi. Per alcuni anni, Putin si è dovuto dedicare a rimettere in sesto la economia russa e il rublo dissestati (l’URSS era fallita: default; il rublo non valeva più nulla). Ha fatto una scelta di autarchia alimentare (lasciando così nell’ignoranza e nella povertà le masse contadine e delle campagne) e ha attirato gli investimenti occidentali nelle maggiori città del suo Paese, da Leroy Merlin a Mc Donald’s. Questi rapporti commerciali sono stati vissuti dagli Occidentali come prova di una relativa apertura della Russia al modo di vivere dei Paesi del 1° mondo, come segno di volontà di cooperazione. Non vi era più nella Confederazione russa il feroce totalitarismo comunista ma quella che i giornalisti si son divertiti a chiamare Demokratura, cioè un regime NON liberale né democratico, in cui però il bavaglio ai mezzi d’informazione non era più soffocante, in cui il Presidente è stato eletto a grande maggioranza ma non nel contesto di un partito unico come in URSS bensì dalla competizione una piccola varietà di partiti che si scontravano. Gli Occidentali purtroppo hanno grossolanamente sottovalutato la volontà di potenza russa: già quando Presidente era ancora Boris Eltsin ci furono interventi armati in Georgia, in Inguscezia, in Moldavia, in Tagikistan e in Cecenia e altri ancora. Dopo che presidente divenne Putin vi fu la seconda guerra in Cecenia (ove ora vige un ordine politico nazista instaurato da Putin), ferocissima, contesta di terribili stragi; la capitale della Cecenia, Grozny, fu rasa al suolo dai bombardamenti, costituendo il modello di quel che Putin ha fatto dopo ad Aleppo in Siria e ora in Ucraina; in Siria ha usato anche le famigerate, terrificanti armi chimiche e il gas nervino. Analoga repressione in Bielorussia, dove i cittadini si erano sollevati contro il sanguinario e inetto alla governance economica Lukashenko. Poi l’invasione della Crimea, che gli Stati di diritto non hanno mai avallato a parole, sebbene non ne abbiano compreso il senso più profondo. Sappiamo che Putin è il diretto mandante di numerosi omicidi di dissidenti e di ex-funzionari russi riparati all’estero, soprattutto in UK.

Putin in verità non ha mai sopportato che il Mondo occidentale avesse vinto la guerra fredda contro l’URSS e i Paesi da esso dominati. Dunque Putin coltiva da sempre il suo progetto, legato alla insopportabile frustrazione per il crollo dell’Impero sovietico. Questo progetto è stato luminosamente ritratto per primo in Italia dall’Ambasciatore Giampiero Massolo (ISPI): rifondare la potenza imperiale russa sottomettendo i Paesi confinanti con la Russia e appartenuti un tempo al Patto di Varsavia, ancorché Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Bulgaria e Romania siano ormai saldamente nella NATO e nella UE. Putin mirava a ridiventare un attore globale in conflitto con l’Occidente e momentaneamente in accordo (difficile) con l’assai più sviluppata Cina.

In un primo momento Putin sperava di inghiottire tutta l’Ucraina (se ci fosse riuscito avremmo un bilancio di molti milioni di Ucraini massacrati), ora punta a impadronirsi della Crimea, già invasa anni addietro e annessa illegalmente, del Donbass e di una striscia di territorio che colleghi queste due regioni assicurandogli tra l’altro una posizione di controllo sul mar Nero.

Un ottimo articolo di due stimatissimi collaboratori del “Corriere della Sera” ci ragguaglia con dati precisi circa le motivazioni in senso stretto economiche per cui il MACELLAIO vuole a ogni costo mangiarsi il Donbass. Ne riporto sotto ampi stralci:


Il Corriere della Sera, 31 marzo 2922

Donbass, perché la Russia lo vuole e l’Ucraina non lo   molla

di Milena Gabanelli e Francesco Tortora

Negli ultimi tre anni gli oligarchi ucraini sono stati i principali avversari interni di Zelensky. L’inaspettata guerra con la Russia ha modificato gli equilibri del Paese e i miliardari locali ora hanno scoperto di avere un interesse in comune con il capo dello Stato: salvare il Donbass e le regioni confinanti al di qua del fiume Dnepr dall’invasore russo. Ma cosa c’è di straordinario in quei territori? Le enormi risorse naturali che tengono in piedi l’economia del Paese, e la maggior parte delle industrie sulle quali gli oligarchi hanno costruito un’enorme fortuna.

IL DONBASS E LE RISORSE NATURALI

Il Donbass è dunque il cuore industriale dell’Ucraina, una grande area mineraria e famosa per le riserve di carbone. I giacimenti si trovano nell’Ucraina sudorientale e nella regione adiacente alla Russia sudoccidentale. La zona più sfruttata copre quasi 23.300 km quadrati 23.300 km quadrati a sud del fiume Donets, ma le riserve di carbone, stimate in 31 miliardi di tonnellate (il 92,4% del carbone presente nel sottosuolo ucraino), si estendono anche verso ovest fino al fiume Dnepr. Con il 35% delle attività minerarie e di estrazione minerarie, il 22% della produzione manifatturiera, il 20% di riserve energetiche e il 18% di riserve d’acqua il Donbass (formato dalle regioni di Donetsk e Luhansk, mentre la regione storica comprende anche l’oblast di Dnipropetrovsk) è da sempre una delle aree più ricche dell’Ucraina. Nel 2014, prima che le autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk scatenassero il conflitto separatista su una linea del fronte di oltre 450 km, la regione nel suo complesso valeva il valeva il 14,5% del Prodotto interno lordo della nazione (circa 20,7 miliardi di euro) e produceva il 25% delle esportazioni. L’impatto della guerra «a bassa intensità» è stato tragico: in sette anni circa 14 mila vittime, migliaia di imprese hanno chiuso, la produzione industriale è crollata del 70%, strade e linee ferroviarie distrutte e un inquinamento sei volte la media nazionale. Un rapporto dell’Istituto di studi economici internazionali di Vienna stimava nel 2020 il costo minimo della ricostruzione in 21,7 miliardi di dollari. Nonostante la guerra, nel 2017 le esportazioni dalla regione raggiungevano ancora il 10% del totale dell’Ucraina, e Mariupol era la base della grande industria siderurgica del Paese.

IL PRIMO OBIETTIVO DELL’INVASIONE RUSSA

Il Donbass è il primo obiettivo dell’invasione russa. Impadronirsi delle miniere di carbone serve al Cremlino, sia per sia per onorare il recente accordo da 20 miliardi di dollari con la Cina che prevede una fornitura nei prossimi anni di circa 100 milioni di tonnellate, sia quello con l’India, stipulato nel novembre del 2021, che garantisce una dotazione di 40 milioni di tonnellate all’anno tonnellate all’anno. E poi ci sono tutte le altre risorse: il Donbass e in generale i territori limitrofi al Dnepr sono ricchi di giacimenti di gas (è qui la maggior parte dei circa 1.100 miliardi di metri cubi di riserve di tutta l’Ucraina 1.100 miliardi di metri cubi di riserve di tutta l’Ucraina), ferro (buona parte dei 27 miliardi di tonnellate di riserve), di uranio (utilizzabile come combustibile per i reattori nucleari), titanio titanio (serve alle costruzioni di navicelle spaziali, di missili e armature), manganese (per la produzione di alluminio, acciaio e leghe di rame) e mercurio (spolette per munizioni e sistemi spaziali e missilistici). Per l’Ucraina perdere quei territori sarebbe un colpo pesantissimo all’intera economia. E un problema anche per quello stretto numero di oligarchi che controllano le grandi e medie aziende dell’Ucraina e rappresentano il 73% del Pil.  

I RAPPORTI TRA ZELENSKY E GLI OLIGARCHI

A lungo gli oligarchi hanno considerato lo Stato solo uno strumento attraverso il quale mungere risorse e potere. Negli anni post-sovietici, anche grazie alla compiacenza di governi corrotti, hanno costruito imperi finanziari e industriali accaparrandosi le enormi risorse naturali del Paese. Il presidente Zelensky ha vinto le elezioni nel 2019 puntando proprio su lotta alla corruzione e «guerra agli oligarchi». Sin dall’inizio del mandato i rapporti sono stati sempre difficili, ma la situazione è degenerata con la stesura della «legge anti-oligarchi»: vietato finanziare i partiti, niente appalti pubblici o nuove privatizzazioni, massima trasparenza. Il 21 settembre 2021, giorno prima dell’approvazione della norma, Serhiy Sherif, il primo consigliere di Zelensky e tramite tra il presidente e gli oligarchi, è uscito miracolosamente illeso da dieci colpi di kalashnikov contro la sua auto. A novembre 2021 il presidente ha denunciato un presunto colpo di Stato. A detta di Zelensky tra i congiurati ucraini e russi ci sarebbe stato anche l’oligarca più ricco del Paese, Rinat Akhmetov.

L’OLIGARCA NEMICO SI SCHIERA CON ZELENSKY

Il giorno prima dell’invasione, iI 23 febbraio, Zelensky organizza un incontro con gli oligarchi locali, e tutti abbracciano la causa ucraina. Il primo a dare la sua disponibilità è proprio Rinat Akhmetov, originario di Donetsk , proprietario della squadra di calcio Shakhtar Donetsk, patron del conglomerato minerario e siderurgico Metinvest che ha il quartier generale a Mariupol. Nel 2014 vanta un patrimonio di 18 miliardi di dollari, ma con la proclamazione della Repubblica di Donetsk perde tutte le proprietà nell’area. Dall’inizio dell’invasione russa i suoi asset crollano e il suo patrimonio oggi si ferma a 4,2 miliardi 4,2 miliardi. All’indomani dell’invasione Akhmetov finanzia con dieci milioni di dollari l’esercito ucraino, organizza aiuti umanitari per le popolazioni in fuga, e attraverso la sua fondazione annuncia che la sua holding SCM pagherà in anticipo 1 miliardo di grivne ucraine (34 milioni di dollari) per sostenere le casse statali. Nei giorni prima dell’assedio di Mariupol visita l’Iljich e l’Azovstal, i due grandi stabilimenti siderurgici della città portuale, e garantisce a tutti i dipendenti un aumento di stipendio. Il 20 marzo l’intero conglomerato è stato gravemente danneggiato dai bombardamenti.

GLI ALTRI MILIARDARI CHE FINANZIANO LA RESISTENZA

Ha deciso di deciso di finanziare la resistenza anche Victor Pinchuk, fondatore di Interpipe, un’importante società di prodotti in acciaio con la sede principale a Dnipro. Pure lui dal 2014 ha perso buona parte degli affari in Crimea, e in un mese il suo patrimonio è il suo patrimonio è sceso da 2,6 a 1,9 miliardi di dollari. Pinchuk ha messo le sue aziende a disposizione dell’esercito ucraino a cui ha fatto arrivare stufe per riscaldarsi, ricci anticarro e denaro. Il più filorusso degli oligarchi, Vadym Novynskyi, proprietario di Smart Holding Group con un patrimonio da 1,3 miliardi di dollari, ha invece rinnegato Putin. Eletto nel 2019 parlamentare nella regione di Donetsk, dopo l’invasione ha scelto la causa ucraina acquistando per l’esercito giubbotti antiproiettile e kit di pronto soccorso. La sua fondazione ha inoltre stanziato risorse per le vittime delle operazioni militari. Al richiamo della patria ha risposto anche l’ex presidente e oligarca Petro Poroshenko, proprietario di Roshen, uno dei gruppi dolciari più famosi d’Ucraina. Poroshenko che ha perso lo status di miliardario a causa della guerra (il suo patrimonio è sceso da 1,6 miliardi a 700 milioni di dollari) finanzia le unità di difesa con mitragliatrici, walkie-talkie, attrezzature e divise invernali. Infine c’è Ihor Kolomoisky Ihor Kolomoisky, originario di Dnipro, con un patrimonio che supera il miliardo di dollari. Grande amico di Zelensky, ha finanziato sia la sua attività di comico sia la candidatura alla presidenza della Repubblica. Kolomoisky, i cui interessi sono concentrati nell’industria energetica, ha il quartier generale a Dnipro ed è anche l’idolo delle frange più estremiste. Dal 2014 ha finanziato con almeno 10 milioni di dollari i gruppi paramilitari nazionalisti Aidar, Azov, Dnipro.   

IL NUOVO CORSO DEGLI OLIGARCHI

A differenza di quanto avvenuto con la rivoluzione arancione (2004) e con le proteste di Maidan (2013-14) i magnati stavolta non hanno fatto il doppio gioco, mettendosi in posizione di attesa per vedere chi fosse il vincitore. Gli oligarchi stavolta si sono schierati. Accantonati i contrasti con Zelensky, hanno tutti serrato i ranghi a sostegno del governo di Kiev. Sicuramente mossi dal timore di perdere le proprie ricchezze in Donbass e nei territori vicini, ma forse anche per un briciolo di amor di Patria.

30 marzo 2022 | 06:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA